Titolo: Un’amicizia
Autore: Silvia Avallone
Editore: Rizzoli
Pagine: 464 – rilegato
Prezzo: eur 19.00
- Storia: ♥♥♥♥♥/5
- Copertina: ♥♥♥♥♥/5
- Stile: ♥♥♥♥♥/5
Un racconto di resa o di liberazione?
La restituzione dei ricordi, la riapertura del vaso di pandora dove sono racchiuse le emozioni di tanti anni insieme.
Elisa Cerruti e Beatrice Rossetti.
Amiche.
In due ma sempre sfalsate. Una davanti e una dietro. Una in luce l’altra all’ombra. Una che diventa, l’altra che sta a guardare.
Elisa racconta, le prime pagine che sfogliamo sono il suo diario.
Si apre come un fiore, mostra la parte più volubile di lei.
Confessa la sua profonda solitudine iniziata a 4 anni quando un’attesa si è trasforma in dramma
“Il panico, o meglio la solitudine, è uno stato primitivo e molto semplice, in cui da una parte c’è il mondo smisurato, minaccioso, ignoto, e dall’altra ci sei tu, un nonnulla. Senza una madre, nessuno può sopravvivere. È una verità che ho sperimentato assai bene, di cui porterò sempre in ciascuna organo vitale le cicatrici.”
Una solitudine cucita tra cuore e sterno.
Elisa che si aggrappa ai libri e si salva e mentre le sue compagne crescono nel corpo lei lo fa nello spirito.
Elisa che rinuncia, per costrizione, alla sua famiglia sbilenca e disastrata, malsana da ogni angolazione ma procreatrice di una felicità vera.
Elisa che si racconta ma non rivela il nome della sua nuova citta dove tutto è iniziato e finito perché non è di un agglomerato di case e strade che sta parlando ma della sua anima.
Dolce ragazza che trova l’amore per caso, all’improvviso, nella grande arena di una biblioteca mentre i libri fanno da spettatori
E poi c’è l’altra. Beatrice,
Dal sorriso inscalfibile e indecifrabile che da bambina già viene trattata come una donna.
Bea senza scrupoli sul lavoro, egocentrica, con la pretesa che il mondo ruoti intorno a lei.
Bea indifferente ai crimini, alle ineguaglianze.
Nella storia di queste 2 amiche si fa strada prepotentemente il rapporto tra madre e figlia. Riflessioni come flash che illuminano il lettore con ricordi ancestrali che ognuno serba per sé.
“Sapevo che una madre conteneva due estremi e passava dall’uno all’altro senza preavviso. E tu potevi odiarla finché volevi, ma poi arrivava sempre la necessità fisica di farti abbracciare e accettare. Tu irrisoria e lei gigantesca, una disparità incolmabile che in certi casi…ti compromette la vita.”
Elisa ha avuto una famiglia disastrata, come dice lei stessa.
Genitori separati quando lei ancora non parlava. Un amore irresponsabile quello della madre. Tanto amore, sincero amore, ma totalmente privo di quelle sicurezze e regole di cui l’infanzia si deve circondare.
Un papà riapparso dopo 11 anni. Una figura così estranea, così lontana da risultare impensabile riavvicinarsi.
Ed è proprio sull’orlo del precipizio, davanti a questo baratro nero in cui Elisa sta per cadere che arriva una stella variabile: Beatrice
“la stella variabile è tale perché è nera. Ha un lato opaco spento. È già morta, sta per collassare. Ma intanto brilla, brilla. Perché l’altro lato è così luminoso che abbaglia, raggira. Io li conosco bene, entrambi”
Elisa la seguiamo passo passo, tra le pagine del suo diario emotivo. La seguiamo quando dal cuore tira fuori quei ricordi che voleva solo dimenticare. La vediamo morire non una, ma due volte. Ma quando si è figli, si sa che se succede, se ci si lascia cadere, c’è qualcuno al nostro fianco pronto a salvarci.
A noi è piaciuta subito Elisa. Una ragazza fatta di libri di poesia e diario con lucchetto. Un’anima dietro le parole, dentro la carta.
Beatrice è il suo alter ego ed insieme hanno in comune una colpa segreta, ereditata involontariamente che si chiama madre.
Ed è proprio su questo punto che la scrittura della Avallone ti entra dentro e si accumula, una parola dopo l’altra, dentro al cuore.
Perché tutti siamo figli ma a buona parte di noi non viene in mente che, dietro la figura di nostra madre, ce ne sia una distinta da noi e dai nostri bisogni, qualcuno fatto di pensieri e desideri a prescindere dai figli e che, in nome di questi ultimi, di questa scelta per la vita, si è barattata i propri sogni con un ruolo.
Essere madre spesso è una condizione unica, che esclude le altre. Noi figli siamo stati l’alternativa ad un futuro diverso e il dubbio che sia anche rimpianto è lacerante.
“Non dovrebbero mai morire, le madri. Quando lo fanno, ti guardi indietro ed è come se non avessi più una storia, un posto, niente.”
Che cos’è un amicizia? Non è un vincolo di sangue, né giuridico, non è un diritto né dovere, è semplicemente essere lì a coprire un buco, una falla che nel cuore assume l’aspetto di una voragine.
La Avallone con questa amicizia ci riporta un po’ tutti indietro nel tempo, a quando eravamo adolescenti, a quando era facile entrare in qualsiasi posto e cominciare dal nulla una storia d’amore devastante che sembrava poter essere lunga una vita intera.
Ci ricorda come eravamo egocentrici ma paradossalmente con la convinzione di non valere niente.
Questo libro è stato di una intensità unica. È riuscito a far riaffiorare ricordi che pensavamo di aver perso. Ha afferrato briciole sparse del nostro passato, portandole a galla come un relitto e con lui i fantasmi di una vita fa.
Silvia Avallone ha una prosa che non fa sconti, ti dice cosa c’è sotto la corazza, ti mette davanti lo specchio della verità, ma la delicatezza con cui lo fa, rende lo schiaffo quasi una carezza.
In questo romanzo c’è un pezzetto di ognuno di noi. C’è un fotogramma che abbiamo vissuto o forse l’intero film.
C’è la generazione dei nostri genitori, cosi devoti alla causa, cosi conformisti e sinceri. C’è quella che li ha seguiti, che voleva fare di meglio, masticando politica spiccia e sognando in grande. E poi c’è quella di adesso, che ha bisogno di un filtro per avere senso e di essere immortalata, scatto dopo scatto, per farsi dire dai like altrui quanto vale.
Nell’amicizia della Avallone c’è anche la magia ed il veleno della maternità. C’è la parte luminosa con cui viene rivenduta e quella buia dove nuoti quando ci sei dentro. Solo alla fine il lettore avrà gli occhi giusti per guardare Annabella e Ginevra, madri rispettivamente di Elisa e Bea. E solo allora le riscatterà.
Due figure un passo indietro alle protagoniste ma da loro imprescindibili.
Papà Paolo, personaggio così sottotono, perdente. Ingrigito dalla vita, col cuore a riposo. Mai ci saremmo aspettate che i suoi piccoli e innocenti gesti potessero diventare trainanti ganci emotivi.
Indimenticabile questo romanzo. Intenso da richiedere un respiro in più per fare spazio alle emozioni.
Avvolgente tanto da volerlo divorare senza pause.
Bello, no. Meraviglioso.
Siamo a fine 2020, è il romanzo più bello dei quasi 80 letti sinora.
Leggetelo, leggetelo e leggetelo ancora.