La scomparsa dei dinosauri dalla frizzante penna di Michele Pipia

“La mafia era, ed è, altra cosa: un sistema che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel vuoto dello Stato (cioè quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca) ma «dentro» lo Stato. La mafia insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta.”

(Leonardo Sciascia, 1972)

Antonietta Tricinna nata Turturiti è la moglie di Antonio Tricinna, assessore regionale ai lavori pubblici.
Vive una vita vuota, conforme agli schemi. Tutto uguale, usi e abitudini, appuntamenti e maniere. Fino a quella mattina così strana, con il letto sgualcito e il marito introvabile.
Eppure c’è.
Il marito c’è, smarrito, confuso, agitato per aver perso qualcosa di sé incapace di ritrovare.
Nella vita monotona dei coniugi Tricinna si fa strada Marco Simoncini, “anima cotta al sole della criminalità siciliana”
Nonostante sia ad un passo dal trasferimento, l’ultimo caso sembra il più difficile e lungo da seguire.
Alla Giunta regionale che dovrebbe riunirsi per approvare il bilancio mancano troppi parlamentari per essere una coincidenza.
Tra questi proprio L’Onorevole Antonio Tricinna.
Mentre il giallo prende piede si aprono scenari passati di una piccola comunità del sud dove la mafia è stata l’alternativa ad uno Stato disinteressato. Si spiegano dinamiche abitudinarie come i voti comprati, i raggiri, le cariche frutto di compromessi o favori.
È un’Italia che esiste, allora come oggi. Un paese che ancora si piega a situazioni discutibili.
Simoncini, meticoloso e testardo, non molla, nonostante l’assurdità di una sparizione di massa, sfrutta i più piccoli appigli per risolvere il caso e godersi la meritata promozione promessa.
Pipia ci racconta di politici troppo impastoiati dai loro piccoli e grandi interessi a vantaggio personale.
Uomini che hanno costruito la loro posizione con i compromessi del caso, continuando a guardarsi allo specchio la sera.
Finta gente per bene con il fondo dell’armadio removibile, a nascondere le ruberie ai danni  di chi fingono di proteggere.
Si disegna una bellissima terra, la Sicilia, spaccata in due.
La città nascosta che pulsa di gente semplice, di artigiani, di pesce fresco e canzoni. Poi quella in vista, dei negozianti e dei delinquenti, dei professionisti corrotti e di tutti quelli che parlano la stessa lingua.
Uno stile molto fluido, a tratti beffardo, volutamente leggero per spaziare nel mare nero dell’imbroglio senza annegare.
Bello l’alternarsi dei punti di vista, dal commissario all’onorevole. Interessante anche la moglie del politico, simbolo di una condizione femminile condannabile ma forse anche un po’ innocente.
Un libro attuale e di intrattenimento, estremamente piacevole dalla prima all’ultima pagina.
La penna del Pipia sembra perfetta per trattare i nostri giorni in maniera ironica e realistica.
Finale a sorpresa, molto apprezzato e che ha degnamente concluso una narrativa promettente.
Autore: Michele Pipia
Editore: Graphofeel
Pagine: 202
Prezzo: eur 17.00
Precedente Il principe dei ladri: Robin Hood di Alexandre Dumas Successivo Mastro Geppetto: Stassi poeta dei nostri giorni