Titolo: Nato fuori legge
Autore: Trevor Noah. Giovane scrittore nato in Sudafrica da madre nera e padre bianco. La sua professione non ha nulla a che vedere con la scrittura ma è pur sempre una forma di comunicazione. Questo è il suo primo libro
Editore: Ponte alle Grazie
L’apartheid era il razzismo perfetto. E’ stato prima il combattimento dei coloni bianchi sulle terre africane per sottomettere e schiavizzare i nativi. Poi è stata la nascita di una nuova fetta di popolazione (gli afrikaners) discendente dai coloni, ma nata in Africa. Alla fine, per non riaprire la ferita della schiavitù, abolita nel secolo precedente, è stato organizzato uno stato di polizia, una combo di sorveglianza e legislazione per un controllo assoluto della popolazione.
La chiusura dei nativi nelle riserve, le leggi razziali e la segregazione: questo è stato l’apartheid.
Trevor Noah nasce da una madre nera che ha vissuto appieno i limiti del sistema cercando sempre un modo per fregarlo. Una donna coraggiosa, ribelle, anticonformista. Una madre sempre sorridente, affettuosa ma altresì realista, che non ha mai nascosto al figlio la brutalità del loro mondo. Gli ha semplicemente fornito un punto di vista diverso da cui guardarlo, per non farlo sentire quello che le leggi ed il governo volevano che fosse.
Trevor ha lottato con la vita sin da subito. Nascere da un matrimonio misto era una sfida al razzismo istituzionalizzato. L’unione di un bianco con una nera dimostrava che la mescolanza era possibile, desiderata e veniva praticata. Questo era considerato un crimine, forse peggiore del tradimento.
Il bambino, che non riesce per fortuna a cogliere nel pieno la disumanità del razzismo, non è parte di nessun gruppo. La sua pelle è chiara ma non bianca né tantomeno nera. Trevor non poteva godere dei privilegi dei bianchi così come non era accettato nelle comitive di neri. Il suo viso colored lo poneva metà, né carne né pesce, una condanna forse peggiore di una più schietta catalogazione.
Trevor Noah nasce fuori legge.
Un’infanzia passata a vedere il padre bianco di nascosto, a camminare nei giardini un passo avanti a quella mamma dalla pelle scura che aveva sfidato la legge partorendolo.
Un’infanzia di povertà, di soprusi e violenze. Poco cibo e di scarsa qualità, una casa fatiscente sempre piena di donne, zie, nonne. Cugini sfuggenti, perché solo dentro le mure domestiche Trevor poteva frequentarli, se uscivano nei cortili lui rimaneva solo a guardarli giocare.
Davanti a delusioni, incomprensioni e solitudine, c’è sempre la sua mamma: Patricia Nombuyiselo. Incontrollabile ed impulsiva, pronta a rispondere e sfidare le ingiustizie a testa alta, ignara o incurante del pericolo.
L’infanzia lascia il posto ad una adolescenza impacciata, sempre a corto di soldi. La scuola rende ancora più evidente a Trevor le differenze sociali, le barriere ed i pregiudizi. Si sente invisibile, sempre fuori posto. Fino a che, grazie alla figura materna che lo sprona a non arrendersi, a rimanere sui libri, a non farsi mettere in un angolo, Trevor trova il canale per comunicare con gli altri. Fa passare in secondo piano il colore della sua palle per tirare fuori tutto il suo frizzante e giovane umorismo.
Così il ragazzino impacciato diventa il confidente delle ragazze, diventa una spalla per i bulli ed esce dal guscio con discrezione. Non è popolare ma non è neanche un paria. Comincia a metterci la faccia nelle esperienze. Le feste, l’approccio sentimentale, la macchina presa di nascosto, i primi cd musicali pirati venduti per comprarsi una merenda gustosa.
” Passiamo troppo tempo a temere i fallimenti, ad avere paura di essere rifiutati. Ma la cosa che dovremmo temere di più è il rimpianto. Il fallimento è una risposta. Il rifiuto è una risposta. Il rimpianto invece è una domanda eterna la cui risposta non arriverà mai”
Trevor cresce, vive la fine dell’apartheid, il successo di Nelson Mandela ma paga sulla pelle, giorno dopo giorno, l’incoerenza e l’insostenibilità di un sistema anche se rinnovato. E’ difficile scrollarsi di dosso anni di razzismo. Si è impreparati, confusi, le abitudini sono lente a cambiare, la gente è diffidente a ragionare in un’altra maniera.
Con la fine dell’apartheid arriva l’hood, il quartiere nero dove criminalità e povertà abitano ovunque, dove nelle case si respira la violenza domestica, impunita, dove si cresce per strada tra botte e spaccio. Dall’hood non esce una vittima ma un eroe, un ragazzo dalla vita difficile che gli Stati Uniti hanno riscattato e ridisegnato come coraggioso sopravvissuto.
Trevor cavalca quest’onda e trova un’occupazione al limite della legalità per fare soldi, divertirsi. Intanto la mamma cambia casa, sposa Abel e mette al mondo un altro figlio, poi un altro ancora.
Il razzismo istituzionalizzato e poi spodestato non è stata la soluzione di tutti i problemi di una comunità immensa, violentata dai coloni, privata della propria dignità, confusa con l’imposizione di nuovi moralismi. Patricia non sa di aver sposato un uomo all’antica, anaffettivo e soprattutto violento oltre ogni limite.
Il prezzo di tutto ciò lo pagherà anche un Trevor ormai uomo, con un lavoro, un nome, degli amici. Lo farà perché le nostre radici non ci abbandonano. Il nostro presente è il risultato di quello che siamo stati nel passato.
Ma l’amore é un’arte creativa e Trevor metterà in campo tutti gli insegnamenti della mamma per sfogare nella maniera più costruttiva la rabbia e l’opprimente senso di impotenza per andare avanti.
Lettura piena, di storia, di vita, di avvenimenti di cui abbiamo letto e sentito parlare neutralmente. Quando a parlartene c’è chi li ha vissuti sulla propria pelle, la reazione è completamente diversa.
Trevor Noah si è messo a nudo, senza retorica e si è raccontato. Lo ha fatto incorniciando la sua vita nel contesto storico che le appartiene perché esso ha profondamente inciso sulla sua crescita e sul suo futuro. Lo ha raccontato senza polemica ma con energia, disappunto e carica emotiva.
Ha usato un linguaggio semplice, a volte forse un po’ confusionario. Non ha seguito un vero e proprio filo narrativo ma questo ha sicuramene alleggerito una lettura dove la politica ed il governo hanno un ruolo attivo.
La crudeltà di determinati argomenti è mitigata dal tono ironico, a volte canzonatorio, di un ragazzo combattivo ed intraprendente che non si è mai lasciato schiacciare. Un ragazzo che ci parla della madre senza mai usare grandi paroloni né toni smielati ma comunque in una maniera tale da far trapelare il profondo amore che lo lega a lei e la riconoscenza per come lo ha cresciuto.
Terminiamo con una riflessione dell’autore che, dopo averla letta, ci ha lasciate attonite per la sua ovvietà ma contemporaneamente allibite per la sua verità troppo spesso taciuta o poco considerata…
“Incontro spesso occidentali che insistono nel dire che l’Olocausto è stato senza dubbio la peggiore atrocità nella storia umana.Si. E’ stato orribile. Ma spesso mi domando quanto siano state orribili le atrocità africane, come quelle del Congo. In questo continente manca una cosa che gli ebrei hanno avuto, loro malgrado: la documentazione. I nazisti tenevano registri meticolosi, scattavano foto, giravano film. E il punto è proprio questo. Le vittime dell’Olocauso contano perché le contava Hitler. Sei milioni di persone uccise…quando si legge delle atrocità compiute contro gli africani non ci sono numeri, solo ipotesi. E’ difficile trovare orrenda un’ipotesi”
Non c’è una vita che vale di più di un’altra. E’ disumano il razzismo in ogni sua forme ed in ogni sua vittima.
Lettura consigliata a tutti perché la conoscenza è sempre libertà e perché finché si continua a parlare della crudeltà che l’uomo è riuscito ad esercitare contro i suoi simili si può sperare che nessuno ne segua l’esempio.