La straniera di Claudia Durastanti

Titolo: La straniera

Autore: Claudia Durastanti. Giovane scrittrice già all’opera dal 2010 ed insignita di riconoscimenti letterari.

Editore: La nave di Teseo

Pubblicazione: marzo 2019

Pagine: 285

Costo: eur 18.00

 

  • Copertina: ♥♥♥♥/5
  • Storia: ♥♥♥/5
  • Stile: ♥♥♥♥/5

 

“La storia di una famiglia somiglia più a una cartina topografica che a un romanzo e una biografia è la somma di tutte le ere geologiche che hai attraversato.

Come si racconta una vita se non esplorandone i luoghi simbolici e geografici, ricostruendo una mappa di sé e del mondo vissuto? Tra la Basilicata e Brooklyn, da Roma a Londra, dall’infanzia al futuro…

Figlia di due genitori sordi che al senso di isolamento oppongono un rapporto passionale e iroso, emigrata in un paesino lucano da New York ancora bambina per farvi ritorno periodicamente, la protagonista de La straniera vive un’infanzia febbrile, fragile eppure capace, come una pianta ostinata, di generare radici ovunque. La bambina divenuta adulta non smette di disegnare ancora nuove rotte migratorie: per studio, per emancipazione, per irrimediabile amore. Per intenzione o per destino, perlustra la memoria e ne asseconda gli smottamenti e le oscurità.”

 

Questo romanzo è arrivato in regalo per un concorso di lettori accaniti cui io e Patrizia abbiamo partecipato. L’idea era leggere i 5 finalisti Strega 2019 e poi dedicarci ai restanti 5 lasciati indietro. Come sempre altri libri e altri motivi si sono messi in mezzo ed il  tempo è passato.

Avevo sentito un’intervista della Durastanti in tv, mi era piaciuta molto. Lei così giovane e sicura di sé, così originale nell’accento, compita nel modo di parlare, seria ma con un sorriso velato e sornione a sdrammatizzare qualsiasi contenuto.

Ho fatto fatica sin da subito con questo romanzo eppure lo consiglierei.

Ma è un romanzo? O un diario? Entrambi. E’ un flusso di racconti, aneddoti, ricordi di un’infanzia tra realtà e fantasia. Le difficoltà di una bambina nata da due genitori sordi e pendolare tra una vita americana ed un’altra italiana.

Una voce che mescola sentimenti a fatti, che immagina o rammenta mettendo insieme un mosaico di contenuti a cui non sono riuscita a dare una continuità.

E’ stata un perenne smarrirsi questa lettura, come la stessa Durastanti, persa in una crescita senza radici, atipica.

La sordità la confina inizialmente in un microcosmo particolare, dove il contatto con il resto del mondo avviene con altri sensi, la isola poi dai genitori stessi, perché l’udito le apre porte a loro inaccessibili. Una maturità che sfugge, costellata di disillusione, tra due terre così distanti nello spazio e nella cultura.

In questo memoir la scrittrice parla a sé stessa, pone interrogativi, prova a rispondersi ma senza perentorietà. Si racconta partendo dal primo incontro tra i suoi genitori, singolare, come tutto il loro rapporto, caratterizzato da un universo privo di suoni, che li costringe ai confini di un mondo diversamente abile. Ma non c’è commiserazione né vittimismo in questo tema, anche se la luce punta sulla necessità intrinseca di voler comunicare.

“I disabili-sono una maggioranza nascosta: nonostante le macchine e le protesi intente a provare che la morte non esiste, quasi tutti con il tempo perderemo un super potere, che sia la vista, un braccio o la memoria. L’incapacità di fare cose che dovremmo saper fare, l’impossibilità di vedere, sentire, ricordare o camminare non è un’eccezione quanto una destinazione”

Troviamo una Durastanti bambina, poi adolescente e donna, ma tutto questo narrato senza una continuità, come una confessione, un dialogo allo specchio dove non interessa l’interlocutore ma solo esternare la voce del cuore.

Mi sono smarrita dalla prima all’ultima pagina, ho faticato a crearmi un quadro che potesse rappresentare il contenuto del libro e farei fatica a farne anche un riassunto perché mi è sfuggita la continuità narrativa, che forse non c’è. Forse l’idea era proprio quella, siamo fatti, parole, azioni che si uniscono tra loro solo perché ci appartengono.

Un linguaggio molto accurato, minuzioso e scelto che ho apprezzato particolarmente. Questo l’elemento che mi ha spinta a finire il libro.

Il titolo si riesce a comprendere solo alla fine, cercando di raccogliere le idee sulla lettura, poiché non si riferisce alla nazionalità di questa scrittrice-pendolare ma a qualcosa di molto più profondo ed intimo; un concetto che lei stessa cerca di afferrare.

In definitiva sono contenta di averlo letto, un po’ dispiaciuta di non averlo saputo apprezzare come avrei voluto. Mi piace voltare l’ultima pagina con un senso di appagamento, con una nuova storia in testa. Non è successo.

Lo consiglio comunque perché credo che un buon lettore debba spaziare, avvicinarsi a generi che lo destabilizzano, portandolo in ambienti letterari nuovi. Piccole sfide che aprono la mente.

Alla Durastanti darò una seconda occasione? Si, nel puzzle delle sue parole c’è del buono che vorrei provare a riafferrare

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