Le stanze dei fantasmi – romanzo collettivo a cura di Charles Dikens

Titolo: Le stanze dei fantasmi

Autori: Dickens, Collins, Gaskell, Sala, Procter, Stretton

Traduzione: Stella Sacchini

Editore: Formebrevi

Pagine: 226

Prezzo: 14.50 eur

  • Copertina: ♥♥♥♥♥/5 Meravigliosa
  • Storia: ♥♥♥♥/5 Polifonica
  • Stile: ♥♥♥♥♥/5 Diversificato

“La casa era mal posizionata, mal costruita, mal progettata e male arredata. Era umida, piena di marciume secco e c’era puzza di topi: era la triste vittima di quell’indescrivibile decadenza che assale tutto ciò che è opera dell’uomo ogniqualvolta non venga messo a frutto. Le cucine e i servizi erano troppo grandi e troppo lontani tra loro. In entrambi  piani, desolati tratti di corridoio si interponevano a spazi fertili, rappresentati dalle stanze, e c’era un vecchio pozzo ammuffito ricoperto dal muschio, nascosto come una trappola mortale ai piedi della scala esterna, sotto una doppia fila di campanelli.”

Nel dicembre del 1859 venne pubblicata per la prima volta una raccolta di ghost stories dal titolo The haunting house. Si trattava di un puzzle di racconti con la firma di alcuni tra gli autori più letti dell’epoca a cura di Charles Dickens.

Quest’ultimo aveva deciso di lasciare da parte il suo genere per eccellenza, il romanzo sociale, e sperimentare un lavoro nuovo. Scrisse il primo racconto che fa da introduzione o meglio da cornice dell’opera, quello conclusivo che chiude il cerchio ed il sesto alla stregua degli altri “partecipanti”.

Nell’epoca vittoriana, a fianco ad un’agiata borghesia e ad un popolino coperto di stracci e miseria, c’è la speranza diffusa di un mondo che va oltre ciò che si vede. Un surreale che non ha nessun effetto speciale se non quello di regalare un punto di vista diverso della società.

Questo per giustificare il fatto che queste ghost stories non iniziano in una casa buia a mezzanotte, non  spostano mobili né scompaiono persone. Anzi, Dickens ce le presenta in una bella mattina autunnale con i meravigliosi colori che le foglie prendono in questa stagione. Non mancano misteriosi suoni notturni, occhi senza volto che brillano al buio ma i fantasmi non sono entità a sé, le stanze non sono infestate ma lo sono i personaggi che le abitano, le cui paure prendono la forma del soprannaturale.

Qual


è la storia che lega indissolubilmente questi singoli racconti? La voce narrante John (figlio d’arte di Dickens) fa una bizzarra conoscenza durante un viaggio in treno. Decide allora di prendere in affitto una dimora dall’aspetto sinistro su cui circolano strane voci e di ospitarvi degli amici. La comitiva di 7 persone abiterà le stanze della villa per 12 notti per poi incontrarsi e raccontare la loro esperienza.

Dickens ha chiamato a raccolta alcuni illustri autori dell’epoca tra cui Wilkie Collins ed Elizabeth Gaskell. Ognuno con il proprio stile ha creato un racconto che è stato poi legato all’altro da quello iniziale e finale dickensiano che rendono questo romanzo una polifonia perfetta.

Nella stanza dell’orologio a firma di Sara Smith troviamo una giovane eroina che si redime da sé stessa con la forza dei sentimenti.

Nella stanza doppia a firma di George Augustus Sala il confine tra realtà e incubo si fa talmente sottile da non essere più distinguibile trasformando quello che inizialmente sembra comico in una tragedia.

Un racconto in rima disegna lo scenario della stanza del quadro dove A.Anne Procter racconta il tormento interiore di suor Angela in versi. Questo è l’unico racconto che non abbiamo apprezzato completamente, forse proprio per lo stile che spezza gli altri ma secondo noi si inserisce un po’ a fatica nel romanzo.

Collins firma il fantasma della stanza della madia. Una storia avvincente e coinvolgente concentrata in un uomo ed una candela ma la prosa dell’autore riesce a dare vita all’inimmaginabile.

Dello stesso prezioso valore il racconto della Gaskell che regala in poche pagine un piccolo quadro di una modesta famiglia contadina dell’Inghilterra dove l’amore nella sua forma più claustrofobica e cieca porta alla rovina.

Il racconto di Dickens nella stanza del Signorino B (abitante ormai scomparso della villa) da voce alle paure ancestrali che portiamo dentro, manifeste attraverso uno specchio che sembra riflettere l’anima.

Quando i personaggi si incontrano alla dodicesima notte per raccontare le proprie esperienze ne emerge uno splendido scorcio di sentimenti umani, delle paure più comuni come la morte, l’inganno, la perdita dell’amore.

“Di mio, non sono certo un pozzo di scienza; ma sento di poter dire con una certa tranquillità che a infestare ogni uomo sulla faccia della terra siano nient’altro che le sue paure”

Con tratti rapidi e precisi, schizzi di poche pennellate, ogni scrittore ha concentrato il meglio di  sé nella stanza che gli è stata affidata. Un senso di disagio molto latente, non si sa quanto frutto di autosuggestione, accompagna la lettura sino alla fine. E’ un libro scorrevole, musicale, un “concerto” di strumenti rappresentati dagli stili di ogni autore, che insieme compongono una melodia affascinante.

E’ stata una sorpresa questo libro, scoperto in una fiera da una libraia che si è dimostrata all’altezza del suo mestiere perché con poche ma pesate parole ci ha convinte a prenderlo. Un piccolo contributo all’acquisto lo ha dato anche l’edizione curata. La copertina evocativa, al tatto quasi vellutata, le pagine spesse, il retro copertina che in una voluta e studiata confusione raccoglie le parole chiave delle stanze, tutto contribuisce al piacere di avere il testo tra le mani e sotto gli occhi.

Una lettura diversa dal solito, molto apprezzata. Nessuna pretesa se non l’intrattenimento coinvolgente e curioso che il famoso Dickens ha saputo creare.

Chi lo avrebbe mai detto che da Oliver Twist a David Copperfield, dalla dolce Dorrit a La bottega dell’antiquario il caro Charles riuscisse a diventare maestro d’orchestra con in mano la penna anziché la bacchetta.

 

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