Abbiamo sempre vissuto nel castello di Shirley Jackson

Abbiamo sempre vissuto nel castello

Autore: Shirley Jackson

Editore: Adelphi

 

Questa è una storia ambientata in un periodo non precisato, in un paese indefinito quasi a voler  ricordare al lettore che le cose brutte possono accadere ovunque ed in qualsiasi momento.

E’ la storia di due sorelle ed un anziano zio che vivono isolati in una grande villa dopo che gli altri componenti della famiglia (genitori, fratello, zii) sono morti avvelenati. Dal processo, Constance, ovvero colei che preparava i pasti per tutti, non è stata giudicata colpevole, ma il paese che circonda la casa, la gente, invece ha emesso un altro verdetto.

“Merricat, disse Connie, tè e biscotti: presto vieni.

Fossi matta, sorellina, se ci vengo m’avveleni.

Merricat, disse Connie, non è ora di dormire?

In eterno, al cimitero, sottoterra giù a marcire”

 

Le ragazze sono derise e allontanate da tutti, prese di mira per antipatiche filastrocche e burle. Si esce solo per comprare da mangiare, per il resto del tempo si vive sul retro della casa facendo ogni giorno le stesse semplici cose come cucinare un dolce, pulire le stanze, curare il giardino.

All’interno della villa infatti si respira tutt’altra aria. Constance e Mary Katherine trascorrono le giornate in un atmosfera quasi fiabesca fatta di conversazioni strampalate e piccoli gesti.

Per oltre la metà del romanzo, la diciottenne Merricat sembra tra le due quella “sana”. Avventata, premurosa, autonoma e protettiva, la ragazza pensa alla spesa, controlla la casa, si preoccupa per qualsiasi cosa possa turbare la sensibile Constance che è più grande di dieci anni. Quest’ultima non parla molto, è terrorizzata dalle persone tanto da avere difficoltà anche ad arrivare al cancello di casa.

Constance detta però delle regole che la sorella minore deve assolutamente rispettare. Regole anche poco sensate come non lavare mai i piatti, non entrare mai in camera del vecchio zio che abita con loro, non lavorare l’orto. Ma il lettore è portato a pensare che queste stranezze siano frutto di una mente disturbata.

Anche Merricat ha strani comportamenti. Crede nella magia, ha l’abitudine di sotterrare le cose, conferisce potere mistico a determinati oggetti tanto da esserne ossessionata (il libro inchiodato all’albero, la bambola sotterrata). Spesso si convince di essere in un mondo diverso, su un altro pianeta ed agisce di conseguenza.

Il lettore però è portato a giustificare, considerando che la ragazzina si sia vista morire avvelenata la maggior parte della famiglia sotto i suoi occhi e viva con la sorella squilibrata.

Questo quadro viene avvallato dallo stesso anziano zio Julius che sta scrivendo un libro su quanto accaduto, alternando un momento di lucidità ad uno di confusione. Lui stesso racconta stralci del dramma, figurando Constance come l’assassina.

Poi alla villa arriva una figura nuova, un cugino che all’inizio sembrerà pieno di premure e di affetto ma che in realtà ha bassi intenti. Merricat si rende conto del pericolo ma la ragazza, bloccata in una realtà infantile e distorta, convinta che i suoi trucchi magici possano aiutarla, rimane praticamente prigioniera del suo silenzio mentre nella mente di Constance si fa strada il dubbio su come abbia gestito la situazione dopo il dramma dell’avvelenamento. La donna, spinta a tale ragionamento dal cugino Charles, comincia a pensare di aver sbagliato a tenere l’anziano zio chiuso in casa anziché in ospedale e ancor di più la sorellina a vivere come una selvaggia.

Una notta Merricat, esasperata dal non riuscire a riportare le cose a come erano prima dell’arrivo del cugino, compie un’azione avventata. L’arrivo dei paesani ed il loro comportamento irriverente e violento fa allontanare le due sorelle dalla villa. Nascoste in un nascondiglio segreto costruito dalla stessa Merricat la verità lentamente si fa strada.

In un mondo che non perdona e che è poco portato all’inclusione sociale, le due sorelle, che trovano conforto solo l’una nell’altra, fanno ritorno in una casa devastata dove sono costrette ad apportare tanti cambiamenti alle loro abitudini pur di ricrearsi quell’ambiente protetto e sicuro in cui vivevano prima.

Così la storia si chiude con i vicini che preferiscono giocare nel vecchio giardino senza posare mai uno sguardo diretto sulla villa per non interrogarsi la coscienza. Quelle stesse persone però, smosse dall’inquietudine che tutto può succedere e che il male, al pari del bene, alberghi in ciascuno di noi, porteranno ogni tanto piccole offerte alimentari alle due sorelle come a volersele ingraziare.

E’ un tema tipico quello difronte al colpevole (assassino, mostro che sia) di deriderlo o attaccarlo pubblicamente, schernirlo ed umiliarlo per esserne poi grottescamente ossessionati tanto da volerlo capire, avvicinare, toccare.

Non c’è nessun colpo di scena, e forse la potenza di questo libro sta proprio qui. Il lettore viene tenuto perennemente col fiato sospeso perché avverte che qualsiasi cosa potrebbe succedere ed è consapevole della presenza del male, non riuscendo però a capire da dove provenga. Tutto nella casa è surreale, maniacale, ossessivo.

Bello lo stile, scorrevole, mai eclatante o scontato. La storia ti tiene avvinta a se sempre con i sensi in allerta in attesa di un disastro che effettivamente non avviene. Ed un male silente e sottile che si fa strada lentamente avvolto di zucchero forse è peggio di qualsiasi banale fiume di sangue.

Consigliato a chi vuole una lettura che fa trattenere il fiato senza scadere nell’horror esplicito, a chi piacciono i romanzi psicologici e le trame sottili, misteriose, che si svelano piano piano, a chi vuole spezzare con la narrativa romantica, a chi ama restare sveglio durante la notte perché il bisogno di sapere ed arrivare alla fine è superiore a qualsiasi stanchezza.

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