Estratto da Il cavalier inesistente di I.Calvino

“Agilulfo aveva sempre bisogno d’applicarsi a un esercizio d’esattezza: contare oggetti, ordinarli in figure geometriche, risolvere problemi d’aritmetica. E’ l’ora in cui le cose perdono la consistenza d’ombra che le ha accompagnate nella notte e riacquistano poco a poco i colori, ma intanto attraversano come un limbo incerto, appena sfiorate, e quasi alonate dalla luce: l’ora in cui meno si è sicure dell’esistenza del mondo.

Agilulfo, lui, aveva sempre bisogno di sentirsi difronte le cose come un muro massiccio al quale contrapporre la tensione della sua volontà e solo così riusciva a mantenere una sicura coscienza di sé. Se invece il mondo intorno sfumava nell’incerto nell’ambiguo, anch’egli si sentiva annegare in questa morbida penombra, non riusciva più a far affiorare dal vuoto un pensiero distinto, uno scatto di decisione, un puntiglio.

Stava male: erano quelli i momenti in cui si sentiva venir meno, alle volte solo a costo di uno sforzo estremo riusciva a non dissolversi. Allora si metteva a contare: foglie, pietre, lance, pigne, qualsiasi cosa avesse davanti. O a metterle in file, a ordinarli in quadrati o in piramidi. L’applicarsi a queste esatte occupazioni gli permetteva di vincere il malessere, d’assorbire la scontentezza, l’inquietudine e il marasma, e di riprendere la lucidità e compostezza abituali”

Estratto da:

Il cavaliere inesistente

Italo Calvino

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