Titolo: Undici solitudini
Autore: Richard Yates. Una vita difficile, scandita da matrimoni falliti, continui trasferimenti. La scrittura lo aiutava a parlare di sé, lasciando tracce nei suoi personaggi. Fumo ed alcol sono stati amici sin troppo fedeli che lo hanno portato purtroppo alla morte.
Prefazione: Paolo Cognetti
Editore: Minimum fax
Pubblicazione: 2018
Pagine: 272
Prezzo: eur 15.00
- Copertina: ♥♥♥♥♥/5
- Storia: ♥♥♥♥♥/5
- Stile: ♥♥♥♥♥/5
“Dopo la pubblicazione di Revolutionary Road, il primo romanzo di R.Yates, il critico americano Alfred Kazin scrisse – Questo romanzo riassume la nostra epoca con più spensieratezza di ogni altro, ma anche con più pietà –
Le undici storie qui raccolte, pubblicate per la prima volta nel 1962, presentano un altro momento della stessa ricerca e contengono forse quanto di più definitivo Yates abbia mai scritto: in ogni racconto non si potrebbe dire di più con meno parole, perché si intuisce sempre che è accaduto molto più di quanto detto. La lezione di Hemingway – l’essenzialità della scrittura – è qui portata alle sue estreme conseguenze grazie alla capacità di far scaturire il significato di un’esistenza da un semplice fatto illuminante. I personaggi di Yates(impiegati mitomani, ragazzi disadattati, reduci senza gloria, coppie sprofondate nel mutismo postmatrimoniale) possono sembrare tratti da un libro di sociologia; ma un dialogo esatto, un ritmo infallibile, l’attenzione discreta ai particolari li rendono assolutamente unici, inconfondibili e per ciò stesso universali.”
La solitudine è solamente una? Isolamento, dice il dizionario, mancanza. Noi la immaginiamo incorporea, un liquido che prende la forma della persona che riempie.
Vincent, adolescente né carne né pesce, solo in una scuola nuova. Un microcosmo così importante a quell’età. L’integrazione, i legami di sangue, si fatica a capire dove cominciare per crearne di nuovi. Lui ci prova ma esce solo la rabbia.
Già dal primo racconto la solitudine ci investe come una doccia fredda, si presente come un vuoto che non si sa come colmare e che non permette di chiedere aiuto se non nella forma sbagliata.
Quella rabbia giovanile se investisse Grace, protagonista di un’altra storia, riuscirebbe a smuovere quella relazione che avanza sul filo del rasoio. Invece in lei la solitudine prende un’altra forma, quella dell’arresa.
Quante solitudini conoscete?
C’è la solitudine della carne, quella privata che sembra un peccato anche solo accennarla; ma esiste. E’ tangibile e pungente perché oltre al cuore anche il corpo può sentirsi abbandonato.
C’è la solitudine degli altri, quella che si vede, si riconosce ma non si sa come gestire. Poi c’è quella arrendevole che deve essere divisa per farla più leggera.
C’è la solitudine che isola, che crea un muro emotivo invalicabile ma trasparente. Tutti ti vedono ma rimani irraggiungibile; quella che ti fa chiedere aiuto, ti si aggrappa come un artiglio, un disagio tangibile. La solitudine più amara di tutte, quella di gruppo, come una squadra in cui c’è un elemento in comune ma che non accomuna in fondo un bel niente perché ognuno è solo a modo suo.
La solitudine non si confonde, non si scambia, non si divide.
Yates è un maestro del realismo. Undici storie di personaggi tra i più disparati, undici scorci di vita quotidiana, di mediocrità, che uniti insieme formano una comunità vivente tuttora attuale. Sogni infranti, progetti falliti, lavori frustranti, animi delusi e sgualciti da insuccessi.
I personaggi di Yates non hanno un preciso aspetto fisico, né un carattere ben definito. Di loro ci parla il contesto in cui si muovono, l’ambiente in cui vivono, le battute scarne ma fotografiche di uno stato d’animo comune: la solitudine. Sono universali.
“Questo allegro tono da brindisi, lui lo sapeva bene, era una cosa studiata in precedenza, come pure la sua fermezza materna durante la cena dei bambini e la disinvolta, prosaica efficienza con cui la mattina aveva dato l’assalto al supermercato; persino la tenerezza con cui, più tardi, quella sera, si sarebbe abbandonata nelle sue braccia era un atteggiamento dello stesso genere. La sua vita o piuttosto quel che la sua vita era diventata, consisteva appunto in un’ordinata rotazione di stati d’animo preparati in anticipo. E se la cavava bene, solo di rado, guardandola da vicino, Walter riusciva a vedere quale sforzo le costasse.”
L’aggettivo che più si addice a questa lettura è spiazzante. In ogni racconto viene presentato il personaggio, solo, deluso ma con la voglia di cambiare, di svoltare. Viene altresì presentato chi o cosa è la causa della solitudine, una specie di cattivo. Quando sappiamo dove schierarci, l’autore cambia le carte ma in maniera così fluida e sottile che alla fine del racconto il protagonista ha perso lustro. Forse la sua condizione se l’è meritata? Era lui il vero antagonista? Il cattivo sembra essere in una situazione peggiore o magari non ha colpe, almeno non dirette.
Una raccolta molto convincente, essenziale. Un quadro dello spirito conformista degli anni ‘ 50, delle villette prefabbricate, della vetrina in cui si muove un marito vestito di tutto punto, una moglie che prepara la cena mentre bada ai figli, il prato tosato e i fiori al centro tavola quando in realtà nel retrobottega quel marito è sgualcito dal pendolarismo, la sposa disamorata prepara vermut troppo spesso e i figli cercano invano di integrarsi.
Una prosa piacevole e curata. A vederlo sembra un piccolo libricino ma sono ben 272 pagine scritte con sincerità e trasparenza. Sembrano mini-biografie di stralci quotidiani raccontati da amici, con onestà, schiettezza. Questo aspetto rende ciascun racconto verosimile, reale, meschino per quanto non giri intorno a nulla ma dica tutto esattamente per come è. Alla mediocrità non sfugge nessuno.
Yates ha uno stile che ci piace, ci sembra uno di quegli scrittori che odi indiscutibilmente o ami alla follia.
Per quanto ci riguarda, l’America della Beat Generation, del conformismo, della minaccia della bomba atomica che rende ancor più impellente il desiderio di sicurezza e stabilità, esercita un certo fascino. Dobbiamo recuperare altre opere e conoscerlo meglio. Lo merita.