Una sola rosa di Muriel Barbery

Titolo: Una sola rosa

Autore: Muriel Barbery, celebre per il romanzo “L’eleganza del riccio”

Editore: E/O

Pagine: 170

Prezzo: eur 15.68

 

  • Copertina: 5♥ su 5
  • Storia: 4♥ su 5
  • Stile: 4♥ su 5

“Se non siamo pronti a soffrire non siamo pronti a vivere”

Rosa da piccola plasmava sentieri e storie per l’anima leggendo romanzi.

Poi d’improvviso più nulla. Aveva perso la disposizione alla felicità.
L’amore solo di passaggio, gli amici poco affezionati, le giornate monotone.
Eppure con un attimo vola in Giappone, alla ricerca di quell’uomo che non ha fatto in tempo a conoscere
Qui incontra un altro, l’aspettava,  discreto e gentile che con delicatezza compie quei gesti al posto del genitore che non c’è più. Questo padre così lontano nello spazio e dal cuore. Estraneo eppure intimo, non troppo distante per dimenticarla.
Una storia all’insegna dei fiori, del loro linguaggio. Ogni angolo, stanza, viale, regala con delicatezza magnolie rivaleggianti in capriole silenziose, azalee scintillanti come fuochi d’artificio, un acero che abbraccia e consola, iris, papaveri, primule.
Rosa, botanica di professione, è molto sensibile alla natura. Su di lei si crea una sorta di alchimia quando è vicina ad un fiore la sua corazza crolla, la sua resistenza vacilla, le emozioni, i ricordi, vengono a galla
“Rosa danzava con la sabbia, ne sposava i solchi, girava intorno alle pietre e alle foglie e ricominciava. Non esisteva altro che quella passeggiata senza fine sull’anello dei giorni e del senso.”
Si muove in un ambiente giapponese, minimalista anche in letteratura. Spazi sobri, spogli ma curati, dove si sente il fruscio della carta di riso sulle porte scorrevoli e la corsa di un ruscello melodioso. Senza grandi descrizioni si riesce ad avvertire l’atmosfera rarefatta e spirituale del posto.
Si respira un’aria quasi surreale, il tempo sembra essere fermo. Del paesaggio si apprendono pochi tratti in tinte pastello, non si odono suoni
“… regnava in quel luogo, un silenzio orizzontale, puro e incomprensibile… planava sui vialetti…formava una tovaglia di onde invisibili tra pietra e aria”
Rosa è figlia della malinconia, dei silenzi, della distanza e questa patina grigia le è rimasta attaccata addosso soprattutto quando è rimasta sola.
La madre e la nonna sono figure dai contorni sfocati nel romanzo ma il loro ruolo è determinante.
La storia, con una delicatezza incredibile, quasi poeticamente, gira attorno al grande dilemma della felicità dopo la morte di chi si ama.
Quanto si deve cambiare per essere felici dopo? E quanto ci si sente traditi poi?
Una narrazione molto particolare, alternata a piccoli brani di leggende giapponesi.
Una prosa fluida ma che chiede concentrazione, per afferrare le sfumature, le metafore, il non detto.
Rispetto al romanzo “L’eleganza del riccio” abbiamo trovato tutt’altro contenuto.
Diverso il ritmo, l’approccio, lo stile.
Una Barbery quasi ascetica, che abbraccia il mondo giapponese delle cerimonie, degli usi e costumi in maniera confidenziale e preparata riuscendo a dare l’idea di come il tempo scorra lento laggiù. In un contesto del genere le riflessioni esistenziali della protagonista si fondono con l’atmosfera.
Piccolo neo legato ad una scelta di contenuto, che non vi diciamo per non fare anticipazioni, e che abbiamo trovato un po’ scontata. Un cliché tipico di altri generi di romanzo che forse si poteva evitare. Il fastidio però è stato  subito dimenticato nelle ultime pagine dove si legge il testo di una lettera che trasuda quell’amore viscerale e ineluttabile di cui tutti facciamo parte.
Mantenendo grande amore per la sua opera precedente, questa è comunque una lettura valida e piacevole ma che non ha fatto breccia come ci saremmo aspettate.
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