Autore: Connie Palmen
Edizione: Iperborea 2018
Il suicidio di Sylvia Plath, prima di essere la tragica fine di un genio poetico e tormentato della letteratura moderna americana, è stato la fine di un amore, di un matrimonio, di una storia difficile e tortuosa, travagliata e faticosa.
E’ stata la morte di un solo corpo ma di due anime. Perché Ted Hughes ha lasciato un pezzetto di sé nelle mani di quella donna che, devastata dai suoi demoni, infila la testa nel forno l’11 febbraio 1963.
Una coppia spesso sotto i riflettori, invidiata e discussa, oggetto di chiacchiere e pregiudizi, non poteva non creare un vuoto con il gesto della Plath. Un vuoto prima silenzioso poi tonante.
“Sapendo bene che il mondo dopo il suo suicidio aveva bisogno di un capro espiatorio e che qualsiasi cosa avessi tirato in ballo riguardo alla mia vita con lei non sarebbe stato creduto, non reagii a nessuna accusa, rifiutai di collaborare ai libri, non rilasciai mai interviste, tacqui”
L’unica voce che avrebbe dovuto parlare è stata messa a tacere da un pubblico che riflette sui personaggi conosciuti un’immagine tagliata su misura per se stesso. Senza cattiveria, o forse si, quel pubblico veste i suoi idoli di abiti stereotipati e li rende attori di secondo ordine.
Dopo il suicidio di Sylvia, amici, parenti, estranei si sono trasformati in parassiti creando una storia su misura, eleggendosi autori di verità che non sono state che semplici supposizioni. Ogni aneddoto, curiosità o dettaglio che nel corso di una vita chi ci sta vicino, chi ci guarda da lontano, cattura e osserva, è stato rigurgitato rivelando stralci di vita privata totalmente distorti o rivisitati senza dare voce a chi quella vita privata l’ha vissuta in prima persona.
E Ted Hughes ha taciuto. Ha taciuto per i suoi figli, a cui ha “dedicato” la distruzione dell’ultimo diario di Sylvia per preservarli da una donna che ormai da tempo non si sentiva più né moglie né madre e che viveva all’ombra di se stessa, piena di odio e rancore. Ha subito accuse ingiuste, processi sommari su chi e come era stato al fianco della Plath e su chi era e fu dopo.
Quando il polverone si è calmato, quando i riflettori si sono lentamente spostati su altre situazioni lasciando strascichi di luce grigia e opaca sulla storia d’amore tra le più discusse dell’epoca moderna allora la voce di Ted si è fatta sentire. Quest’uomo, amico, compagno, fratello, amante di Sylvia, ha deciso di ricongiungersi all’amata nella sua forma migliore e più naturale, la poesia. Nonostante la sua repulsione per la letteratura autobiografica, ormai vicino alla morte e sensibile al distacco terreno, Tedi Hughes ha scavalcato le sue rigide convenzioni, se ne è liberato dando vita alle “Lettere di compleanno” delle quali questo romanzo – Tu l’hai detto – ne rappresenta un racconto fluido e capillare.
Sylvia è stata una donna tormentata da se stessa, un groviglio violento d indomabile di emozioni, passione, amore e odio. Ted diceva di lei:
“Di una donna che invece di baciarti ti morde avrei dovuto capire che per lei amare qualcuno equivaleva a combatterlo…Chi inizia così un amore sa che vi si cela un cuore di violenza e distruzione. Finché non sopraggiunge la morte. Uno di noi era spacciato fin dall’inizio…Il suo nome è il mio nome. La sua morte è la mia morte”.
La letteratura, si dice, nasca sempre da un’anima ferita. Lo sforzo è proprio far uscire quel dolore e liberarsene. Agli occhi di Ted, la giovane Sylvia appare subito come un angelo senza ali, che si guarda intorno smarrito e che reagisce agli sguardi di compatimento con ostilità e disprezzo. Un angelo che cerca in agguato dietro i muri il suo nemico, mentre Ted da subito ha la sensibilità di accorgersi che in realtà quel nemico era Sylvia a covarlo dentro di lei.
“Era tagliata fuori dalla parte più pura di sé, quella in cui risiedevano la creatività e il genio, incatenata alla ferita, alla rabbia, alla crudeltà. Quell’isolamento era la causa della sua frustrazione e disperazione”
Egli si sente subito investito da un desiderio irrefrenabile di proteggerla, da sé e dagli altri. Vuole aiutarla ad immergersi nel suo abisso perché solo così né verrà fuori il suo io poetico, rinnovato, rinato, libero da retaggi passati.
La loro è una storia come tante. Una festa ed una sensazione a pelle di non potersi più allontanare l’uno dall’altra. Un matrimonio 4 mesi dopo, quasi in silenzio ed una vita di coppia errante, vagabonda. Una quotidianità senza orari né regole, che si adatta a pennello con il loro essere scrittori. Mentre Ted riesce a trarre dal suo grande amore per Sylvia, così passionale e sentito, grande inventiva da mettere su carta; la donna invece quasi si involve. La poesia sente che le si rivolta contro, la genialità la percepisce ma non sa come raggiungerla e si affaccia così quella campana di vetro dentro cui si sente prigioniera e che sarà poi un suo successo letterario.
Un improvvisato appartamento a Cambridge e la gestione della vita a due con bollette e affitto rendono Sylvia apatica, sofferente, frammentata e sperduta. Ma insieme sono ancora in sintonia, si leggono versi, criticano costruttivamente a vicende i propri componimenti, ascoltano musica. Lui detta e lei scrive a macchina, lui imbusta e lei spedisce alle case editrici.
Il riconoscimento di Hughes arriva da New York così i due partono per l’America e finalmente Ted conosce la famiglia Plath. Una madre anaffettiva, ambiziosa e diretta, un padre morto troppo presto. Sylvia è prigioniera di ricordi del suo passato che la tormentano. Ha mitizzato la figura del padre verso cui si sente in colpa e in debito senza sapersene spiegare la ragione.
Una luna di miele malinconica e grigia, un soggiorno americano che a Ted non offre alcuna ispirazione portano i due a tornare in Inghilterra. La vita di coppia comincia a dare segni di stanchezza. Stare al fianco di Sylvia non è facile. Subirne e gestirne gli eccessi, di rabbia e violenza, di gelosia ed improvvisa disperazione, apatia e malinconia. E poi ancora le emicranie, le febbri misteriose, il pianto isterico, gli attacchi di panico. Ma solo dopo il suicidio, rileggendo i suoi scritti, Ted affonderà totalmente in quel sabbioso abisso emotivo che dilaniava sua moglie scoprendo quanto fosse stato impossibile vederne il fondo.
Un soggiorno in una residenza artistica, la prima gravidanza, un viaggio in Francia e poi un secondo bambino. Ted continua a scrivere incessantemente, ad interessarsi di poesia, racconti per ragazzi, cabalismo ed influsso della mitologia. Sylvia continua altalenante la sua vita emotiva di cui “Olmo” non è che il preludio della fine. Combatte ogni giorno i suoi demoni, e non appena si sente libera dall’inganno e dall’infatuazione che la tenevano prigioniera scrive un capolavoro “Ariel“.
L’io poetico e geniale finalmente è venuto alla luce. Forse è stato proprio questo il momento in cui Ted si è sentito sollevato dal suo compito di salvatore, dal suo senso di protezione. Ha pensato che Sylvia finalmente avesse trovato la sua strada senza più bisogno di lui. Così si innamora di un’altra donna e non lo nasconde. Lo fa alla luce del giorno cercando di essere comunque delicato e rispettoso.
Non poteva sapere che Sylvia forse aveva trovato la strada poetica ma quello che cercava era la morte come unica liberatrice da qualsiasi vincolo e responsabilità, da qualsiasi passato e futuro.
Con quale misura possiamo sostenere se questo marito abbia fatto tanto o poco? Se sia stato lui a portare la Plath al gesto estremo o se questo gesto non è stato che un epilogo che da sempre si portava dentro? Come possiamo giudicare un uomo che si è preso cura della moglie notte e giorno, subendone gli eccessi e che, una volta sentito il peso più leggero sulle spalle, ha voltato il cuore altrove?
La depressione, in qualsiasi forme e grandezza, è un’ombra che non ti abbandona. E’ un nemico che covi ed alimenti, di cui non hai gestione né freno. Vogliamo credere che Ted e Sylvia abbiamo vissuto e visto lo stesso dolore, le stesse paure. Hanno semplicemente scelto due strade diverse per gestirle.
Un libro superlativo. Ci ha catturate dalla prima all’ultima pagina in un vortice di emozioni. Lo stile, il linguaggio, i tempi narrativi, è stato tutto perfetto. La Palmen non ha solo studiato ma si è immersa in questa tragedia di cui si è detto e scritto tanto e l’ha riportata in vita. Lo ha fatto in maniera magistrale, con delicatezza e garbo ma calcando la penna nei punti giusti.
La storia è poetica, scorrevole, intima e commovente. Risveglia interesse e curiosità per queste due figure tanto discusse. E’ uno di quei pochi libri che sai di poter rileggere una seconda volta senza esserne stanca.
Consigliato agli amanti della poesia, delle biografie e dei resoconti veri. Adatto a chi vuole leggere una storia profonda senza perdere il contatto con la realtà, a chi cerca un testo da divorare e che spinge poi a continuare per proprio conto l’approfondimento. Consigliato a chi sa cosa sia la depressione o voglia capire quanto possa essere difficile, forse impossibile, comprendere l’animo umano fino in fondo.