Resto qui – Marco Balzano

Resto qui

Autore: Marco Balzano

Editore: Einaudi

Vincitore Premio Campiello 2015

 

Siamo nel Sud Tirolo, a Curon. Una terra al confine con Austria e Svizzera, che di italiano non ha quasi niente. Tedesca è la lingua, i cartelli stradali, le insegne dei negozi; tedesco è il modo di vestire e mangiare,e la mentalità.

 

Trina è una ragazzina vivace, sempre insieme alle sue inseparabili amiche Maya e Barbara. Da grande vuole fare la maestra perché per lei le parole sono un’arma che può cambiare il mondo.

L’arrivo del fascismo scombussola tutto. Il tedesco è vietato, le strade cambiano nome, si vuole costruire una diga artificiale che rovinerà il paesaggio. Nessuno si occupa dell’identità di Curon, calpestata, violata.

Trina inizia ad insegnare la lingua tedesca in scuole segrete e sotterranee, ai bambini. E’ entusiasta di questo compito rischioso e ci trascina anche la sua amica Barbara. Le cose però non vanno per il verso giusto e Trina viene investita da un senso di colpa lacerante.

La vita va avanti, i fascisti si comportano da padroni. Oltre i confini, l’eco delle gesta di Hitler viene sentito come un canto liberatorio.

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Quando arrivano i nazisti, la gente è speranzosa di tornare alle vecchie abitudini, alla vita di un tempo. I soldati però portano con loro la guerra, e tutto cambia di nuovo.

Una nuova vita aspetta Trina, sulle montagne, lontano da casa.

Il racconto non si ferma, spietato va avanti, supera la guerra, supera il ritorno della gente a case che sono spesso cumuli di macerie e polvere.

“E c’era chi all’osteria bestemmiava perché saremmo rimasti italiani. L’impero austriaco non esisteva più. Il nazismo non ci aveva salvato. E anche se il fascismo era finito non saremmo più stati quelli di prima”

Un altro nemico si staglia all’orizzonte. Quasi una beffa dopo tanto dolore e troppe perdite: i lavori della diga, alla fine riprendono. Le proteste, gli appelli non servono a nulla. Il profitto vale di più di una manciata di case.

Il sacrificio del paesaggio è straziante.

“I campi non c’erano più. Le distese verdeggianti erano scomparse. La terra adesso vomitava solo polvere, sfoggiava le sue pietre sfarinate e bluastre e non sembrava la stessa su cui crescevano i larici e i ciclamini, su cui avevano brucato indisturbate le mucche e le pecore. Il silenzio fermo delle montagne era sepolto sotto il rumore incessante delle macchine che non si fermavano mai. Nemmeno la sera. Nemmeno la notte”

Ma cosa ne pensa la gente di Curon?

“Ci avessero domandato quel giorno qual era il nostro desiderio più grande, avremmo risposto che era continuare a vivere a Curon, in quel paese senza possibilità da dove i giovani erano scappati e tanti soldati non erano più tornati. Senza voler sapere niente del futuro e senza nessun’altra certezza. Solo restare.”

Romanzo bello, scorre sulla pelle come acqua fredda. Mirabile la capacità di Balzano di scrivere di eventi e personaggi lasciando per tutto il corso della storia il posto d’onore al significato ed alla potenza della parola.

“Sembrava in quei giorno che le parole potessero smuovere le montagne. Che l’errore più grosso fosse stato non interrogarle, non cercarle, non farle parlare prima”.

Parola come conferma della propria identità, come Trina che tiene lezioni segrete ai bambini.

Parola muta come segno di sofferenza, di prostrazione, di ferite dell’animo, come tra i disertori nascosti tra le montagne.

Parola scritta come speranza, aspettativa, come il diario che Trina scrive alla figlia.

Parola come prigione…

“…l’italiano e il tedesco erano muri che continuavano ad alzarsi. Le lingue erano diventate marchi di razza. I dittatori le avevano trasformate in armi e dichiarazioni di guerra”.

Balzano si è recato personalmente al lago di Resia e con i suoi occhi ha visto il campanile svettare in mezzo alle acque. Questo è tutto ciò che resta di Curon.

L’acqua si è mangiata case, cortili, botteghe. I turisti, dopo un attimo di sgomento, si fanno la foto con il campanile alle spalle e vanno via. Balzano, come scrive in una nota a fine libro, non ha visto lo stesso campanile, o meglio lo ha visto ma ha saputo leggervi l’incuria, la violenza del potere, la potenza ed impotenza della parola. Ed è nata cosi l’idea di scrivere una storia che potesse dare voce a tutto questo.

Da mettere in libreria!

 

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