Titolo: Non perdiamoci di vista
Autore: Federica Bosco. Una delle nostre preferite “penne” della letteratura contemporanea italiana. Abbiamo già letto i due precedenti romanzi, uno più bello dell’altro
Editore: Garzanti
Pubblicazione: ottobre 2019
Pagine: 290
Prezzo: 17,90 euro
- Copertina: ♥♥♥♥♥/5
- Storia: ♥♥♥♥♥/5
- Stile: ♥♥♥♥♥/5
” E’ l’ennesimo 31 dicembre, e Benedetta lo trascorre con gli amici della storica compagnia di vi Gonzaga, gli stessi amici che, negli anni Ottanta, passavano i pomeriggi seduti sui motorini a fumare e a scambiarsi pettegolezzi, e che ora sono dei quarantenni alle prese con divorzi, figli ingestibili, botulino e sindrome di Peter Pan.
Ma quello che, a distanza di trent’anni, accomuna ancora i “ragazzi” è l’aspettativa di un sabato diverso dal solito in cui, forse, succederà qualcosa di speciale: un bacio , un incontro, una svolta. Un senso di attesa che non li ha mai abbandonati e che adesso si traduce in un messaggi sul telefonino che tarda ad arrivare. Un messaggio che potrebbe riannodare il filo di un amore che non si è mai spezzato nonostante il tempo e la distanza, che forse era quello giusto e che torna a far battere il cuore nell’era dei social, quando spunte blu, playlist e selfie hanno preso il posto di lettere struggenti, musicassette e foto sbiadite dalle lacrime. Una nostalgia del passato difficile da lasciare andare perché significherebbe rassegnarsi a un mondo complicato, competitivo e senza punti di riferimento, che niente ha a che vedere con quello scandito dai tramonti e dal suono della chitarra intorno a un falò. Fino al giorno in cui qualcosa cambia davvero. Il sabato diverso dagli altri arriva. L’inatteso accade. La vita sorprende. E allora bisogna trovare il coraggio di abbandonare la scialuppa e avventurarsi a nuotare nel mare della maturità, quella vera.”
Questa meravigliosa storia di vita quotidiana è un tributo alla generazione degli anni Ottanta. Voi c’eravate? Noi si.
Stavamo sedute il sabato pomeriggio sui Sì di qualche amico, col vestito buono, i capelli lavati e la voglia di conquistare il mondo.
Stavamo fuori scuola con le cartelle tutte uguali, nessun trolley all’orizzonte, a scambiarci bigliettini ed organizzare consegne clandestine perché dei cellulari neanche l’ombra. Confabulavamo di feste per poter avvicinare quelli più grandi; tenevamo gli occhi bassi perché se ti piaceva uno te lo si leggeva in faccia e non su un emoji.
Erano gli anni in cui i professori incutevano rispetto ed un loro no era condiviso dai genitori senza bisogno di saperne il motivo. Non c’era la privacy come giustificazione di massa né la denuncia facile.
La musica si sentiva con le cassette e si riavvolgeva il nastro con la matita per risentirla di nuovo; guai se a casa squillava il telefono all’ora di cena, non come oggi che c’è la prepagata e la rete fissa non ce l’ha quasi più nessuno.
Quella generazione, che non ha sofferto i sacrifici e le rinunce della guerra ma che è stata cresciuta comunque con chi quel peso ce l’aveva più vicino, è la stessa di Benedetta, la protagonista del romanzo.
Ma questa non è una storia di sola nostalgia. Non c’è solo lei ed i suoi “ti ricordi” sempre in tasca, è anche la storia di una madre che cresce un bambino oggetto di una acerba forma di bullismo e di una adolescente che si sente donna per i diritti ma non per i doveri.
E’ la storia di un amore ritrovato, con un uomo, Niccolò, che ad un certo punto ci aveva fatto credere anche a noi nel cambiamento. Quando due persone si incontrano e non sono due estranei che si sono conosciuti su una chat ma hanno condiviso concretamente profumi e contorni di anni passati allora pensi che ogni ostacolo è superabile.
E’ la storia di una comitiva di ex giovani, ognuno con i suoi problemi ma la stessa delusione cucita addosso.
La Bosco ci porta proprio al centro di un microcosmo degli anni Ottanta che oggi si ritrova cresciuto e amareggiato, con più fallimenti che vittorie e più rimpianti che rimorsi. In questo scenario non c’è solo Benedetta. Ci sono altre donne e uomini che conosciamo di striscio ma di cui afferriamo il punto debole, la zona d’ombra.
“Avevamo fatto tutto quello che i genitori e la società si erano aspettati da noi, seguito i precetti che ci avevano inculcato dalla nascita, il senso dell’onore e della famiglia, del sacrificio e moralità.
Eravamo andati a messa fino alla cresima e più o meno seguito i dieci comandamenti, non eravamo usciti troppo dal seminato, eppure qualcosa era andato storto. A vederci oggi, ormai adulti, con carriere avviate e mutui quasi estinti, nessuno di noi poteva dirsi felice e realizzato..
Tutti noi cercavamo ancora qualcosa, quel qualcosa di magico e incredibile, quel sabato sera.
E nonostante fingessimo indifferenza, nei nostri occhi c’era una luce nostalgica, un velo di tristezza e rassegnazione.”
Di Benedetta invece seguiamo ogni passo. La conosciamo attraverso i suoi ricordi, quelli di una madre dal carattere militare ed una forma di amore che a 18 anni sembra incomprensibile, quelli di un matrimonio finito con una stretta di mano, dei sacrifici per stare dietro ai figli e bilanciare la loro voglia di mangiare il futuro voracemente ad una più pacata quotidianità.
Incontriamo tanti temi, il bullismo, l’amicizia, l’amore in tante declinazioni, l’abbandono e il ritrovamento, il dialogo e l’importanza di entrare in sintonia, il rapporto madre/figlio e quello ancora più aggrovigliato di una coppia. Tutto questo diluito in pagine che scorrono velocemente, sempre con la matita in mano perché la meraviglia di questa scrittrice è lasciare dei passaggi preziosi e perfetti.
Una prosa fluida, uno stile ironico e leggero per mascherare la profondità dei tanti temi trattati in cui ognuno sicuramente può trovare un pezzetto di sé.
Toccate nel profondo ogni volta che la narrazione si è spostata sui figli, sull’educazione, su quel doloroso strappo che danno quando iniziano a crescere e staccarsi da te. Sui loro egoismi, le loro pretese ed infinite fragilità e l’enorme difficoltà di trovare le parole giuste, il tono giusto, lo sguardo giusto per aprire uno spiraglio nel muro che stanno ergendo. Come madri siamo state messe a nudo in questo libro. Ma la Bosco ci ha anche ricordato che non siamo sole.
” Avevamo dato troppo senza chiedere niente in cambio, e un giorno ci eravamo trovati a gestire degli individui immensamente viziati ed esigenti che in natura non sarebbero sopravvissuti senza il segnale we-fi e che non avevano il benché minimo concetto di società e sacrificio.
Tutto li stancava, tutto li annoiava, e mai si domandavano se potevano essere utili in qualche modo, soprattutto non riuscivano a provare empatia o compassione, e questa cosa non la potevi insegnare. Ci nascevi.”
Diamo un taglio a questo articolo perché, con spunti quanti ce ne fornisce l’autrice, potremmo non finire mai. Terzo suo libro letto, bello e intenso.
Non perdiamoci di vista è un mantra che ci dobbiamo ripetere continuamente per ricordare che la vita è un cerchio, partiamo tutti dallo stesso punto e nello stesso punto finiamo. Assolutamente necessario averlo in libreria per la generazione anni Ottanta, per chi è venuto dopo è un’ottima occasione per scoprire la propria matrice.