Le tre notti dell’abbondanza di Paola Cereda

Titolo: Le tre notti dell’abbondanza

Autore: Paola Cereda

Editore: G.Perrone

Pagine: 389 (su IBS il dato è errato)

Prezzo eur 17.10

  • Copertina: 5♥ su 5
  • Storia: 5♥ su 5
  • Stile: 5♥ su 5

 

Potrebbe sembrare un paese qualunque Fosco. Un intestino di vicoli convergenti in una piazza, arroccati su una falesia a picco sul mare.

Invece no.
C’è una stonatura in quella armonia di colori e profumi. Gli abitanti, il mare non lo possono toccare, non si possono avvicinare. È una regola non scritta ma che nessuno osa infrangere.
Lì è nata Irene con la testa annuvolata e la matita sempre in mano, con una voglia irrefrenabile di disegnare anche il respiro.
“Sfacciata, troppo femmina e verace”
curiosa e impertinente, con il coraggio di un bandito.
Sin da piccola guarda le regole imposte dalla malavita senza capirle: la merce che arriva al negozio dei genitori e che è obbligatorio accettare, i colpi di pistola in una serata qualsiasi e tutte le finestre che si chiudono senza neanche lo sforzo di spiare.
Vicino a lei cresce Angiolino Il figlio di Don Antonio Rusto il boss di Fosco. Il bambino che doveva essere l’erede del potere paterno ma che si dimostra soffice come un pan di spagna e con  un’inopportuna predilezione per il rosa. Una vergogna infame per un uomo d’onore come Totonnu.
Angiolino e Irene crescono quindi con la stessa resistenza al volere dei genitori, figli fallaci, fiori rari in un campo di erbacce.
Poi c’è Rocco, coetaneo loro ma più grande dentro. La scomparsa improvvisa del genitore, l’offerta del papà di Irene, sanno di segreti e sangue.
Quando incontra la figlia di Rosario le sembra una frase senza punto, una cerniera con il cursore lento, e se ne innamora.
“Lei gli piaceva. Un’attrazione vicina all’imbarazzo lo induceva a cercarla. Voleva vederla. Voleva sfiorarla. Studiarne il profilo, camminarle alle spalle per confondersi con la sua ombra. Rincorrerla lungo il perimetro del cerchio per poi invertire il senso di marcia. “
Il trio di amici, Rocco, Irene, Angiolino, ruvido, fuori dagli schemi ma sincero, viene smembrato da un destino fatto di conti da saldare, onore calpestato, pregiudizio.
Irene si perde tra i suoi disegni, cercando Rocco. Angiolino pure cerca, ma se stesso.
Solo in un posto senza nome, solo in mezzo alla gente, terrà il conto di come le notti dell’abbondanza gli abbiano portato via tutto.
Affamato di risposte, atterrito dal rifiuto, spaventato da ciò che sente di essere, cerca il rispetto, il proprio, perché solo cosi potrà considerarsi nato
Ci sono attimi che decidono esistenze.
Una Calabria dove il nome di una città o di una provincia è una semplice etichetta perché sono le famiglie a comandare e a disegnare i confini con l’appartenenza.
Una malavita subdola, che ti arriva alle spalle.
Destini condannati a dinamiche immodificabili. Gente che per l’onore si svende l’anima.
Tra i potenti si creano obblighi e doveri morali che non si possono rifiutare neanche se vengono chieste azioni umanamente indegne e deprecabili. È proprio una di queste azioni a mettere in crisi tutto il paese perché Totunno non se la sente di prendere parte ad un sequestro ma sa anche che ha un debito e non può rifiutare.
Oggi che tutti cerchiamo di non essere un numero, laggiù invece proprio l’anonimato si brama, per scrollarsi di dosso un cognome che inchioda, nel bene e nel male.
In un’etica a senso unico ci siamo innamorate di Rocco da subito.
“Aveva mani grandi e leggere, che afferrano con l’idea di accompagnare e mai con quella, prepotente, di sottrarre”
Lui che vuole portare Irene sul tetto perché da lì si vedono i sogni, comincia il mondo e iniziano loro due.
Quando capisce che nella vita il futuro è fatto anche di compromessi fa ad Irene una dichiarazione d’amore meravigliosa, una delle più belle che abbiamo trovato nella letteratura contemporanea
Ripetutamente nella storia si parla del fatto che a Fosco c’è una scala in marmo che non porta al mare. È l’unico modo per arrivare alla spiaggia ma è completamente rovinata dal tempo, sbriciolata.
Totunno aveva stabilito di non poter scendere a riva così il mare si è trasformato in orizzonte e la scala è diventata il confine di una terra straniera.
La scala non è solo un limite ma anche il simbolo dì qualcosa che spazia, di una via con la quale si può prendere il largo e che porta a sua volta a tante altre strade. La scala era libertà.
Anche il titolo del romanzo è simbolico. L’abbondanza in quei paesi dove la tradizione è pane quotidiano e non può essere né discussa né cambiata non è soltanto una ricorrenza ma è anche la conferma di un’autorità, di un potere, di qualcosa che ancora si posa su basi solide e ha diritto di legge.
Di Paola Cereda avevamo letto romanzo un paio di anni fa, candidato al premio Strega:  Quella metà di noi. Lo trovate sempre qui sul blog. Un libro che ci aveva colpito profondamente e che avremmo desiderato vincesse.
Qui abbiamo ritrovato la stessa prosa curata, poetica, fluida.
Il modo di scrivere trasuda passione, partecipazione. Alcune pagine sono come schiaffi presi in pieno volto ed improvvisi e poi carezze per mitigare il bruciore di prima. Passaggi di grande sentimento, di bellezza, di cose buone e poi il pozzo nero, le sbarre, l’ineluttabilità.
È difficile trovare parole che possano esprimere il grande appagamento che abbiamo sentito nel leggere questo libro.
Una recensione questa che vorrebbe essere un urlo, un incitazione anzi forse un comando a leggerlo subito.
Un romanzo perfetto
Una sola cosa è rimasta in sospeso. Il desiderio di sbirciare anche solo per un attimo in quel quaderno di cui sentirete parlare dall’inizio alla fine della storia. Un quaderno arancione come uno scrigno, come un caleidoscopio, miraggio, desideri, bacchetta magica.
Lì dentro si disegna la vita.
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