Titolo: Le mezze verità
Autore: E.J.Howard, autrice della saga dei Cazalet. Donna affascinante e animo inquieto, ha vissuto al centro del fervore culturale inglese dei suoi anni tenendo una vita burrascosa e movimentata.
Pubblicazione: ottobre 2019
Pagine: 329
Prezzo: euro 18.50
- Copertina: ♥♥♥♥♥/5
- Storia: ♥♥♥♥♥/5
- Stile: ♥♥♥♥♥/5
May Browne-Lacey ha da poco sposato in seconde nozze il Colonnello Herbert; entrambi hanno figli dai precedenti matrimoni e vivono in una casa di singolare bruttezza nelle campagne del Surrey, fortemente voluta dall’uomo e acquistata con l’eredità di May.
Alice, figlia di Herbert, si sta per sposare, più per fuggire dal padre che per amore. Il Colonnello non piace nemmeno ai due figli di May, Oliver ed Elizabeth: lo considerano un borioso tiranno che si comporta in modo strano e opprime la madre. Oliver, un ventenne brillante e ironico, abita a Londra, non ha un lavoro stabile e vorrebbe tanto sposare una donna ricca che lo mantenga. Elizabeth, la sorella minore, che nutre un complesso di inferiorità nei suoi confronti, è una ragazza ingenua e sentimentale. Quando quest’ultima decide di trasferirsi a casa del fratello per cercare lavoro, -may, rimasta sola nel Surrey con Herbert, inizia a pentirsi amaramente di averlo sposato. Intanto Elizabeth trova lavoro e anche l’amore, Oliver cerca la sua ereditiera mentre si fa mantenere dalla sorella, e Alice, incinta e infelice, vorrebbe scappare di nuovo. In questo sottile ritratto di una famiglia in crisi, ognuno deve fare i conti con una mezza verità che lo tormenta; ma la tragedia è dietro l’angolo e quando arriva spazza via quell’aria di non detto che così a lungo ha gravato sui protagonisti.
La trama è sicuramente molto intrigante e da subito mi ha incuriosita. Dopo aver letto ed assaporato ogni pagina della saga dei Cazalet, questa lettura era praticamente una certezza pur rimanendo il primo romanzo autoconclusivo della Howard che approcciassi.
Lo stile inconfondibile, la grazia nelle descrizioni, l’eleganza della prosa sono emerse sin da subito. Mi sono sentita immediatamente catapultata in quella grossa e dispersiva casa di campagna dove tutto ha inizio.
“…quella specie di caserma di mattoni, quercia patinata e vetro istoriato, in cui ogni stanza aveva lo squallore gelido di una sala preparata per un discorso e perfino il giardino era stato riempito delle piante più brutte”
Questo luogo suscita antipatia, fastidio e scomodità ma non fisica. Il disagio dei componenti della famiglia ad eccezione del Colonnello, è infatti più emotivo che materiale. L’arredamento freddo e austero, la poca personalizzazione delle stanze, l’assenza di comodità o accessori che denotino la presenza degli abitanti, creano un atmosfera dalla quale ci si vuole allontanare.
I primi a percepire questo disagio sono i giovani. Oliver, poco più che ventenne, è un tipo dalle idee poco chiare e soprattutto scarsamente realistiche. E’ di fondo un perdigiorno che non ha sogni nel cassetto né passioni che possano impiegargli il tempo. Passa da un lavoretto all’altro senza lasciare il segno così come passa da una relazione lampo all’altra. Il suo atteggiamento spaccone e derisorio nasconde una profonda insicurezza che si vergogna di esternare. La sua presenza, che non mi ha suscitato grande simpatia, è però fondamentale per ridimensionare la tristezza della sorella Elizabeth.
Quest’ultima è una ragazza semplice, senza affettazione. Il suo è un carattere mite e discreto, attento a non far del male a nessuno. Quando a casa la sorellastra Alice si sposa, la giovane non mette neanche in discussione il suo dovere di far compagnia ed essere d’aiuto alla madre. I suoi desideri li tiene chiusi in un cassetto, quasi senza rimpianti.
La conoscenza di un ricco ultraquarantenne la lascia però allibita per poi coinvolgerla anima e corpo. Davanti ad Elizabeth si schiude un mondo sensoriale nuovo, accattivante e curioso in cui si lascia trascinare volentieri. La breve convivenza con Oliver a Londra, tra senso di colpa per aver abbandonato la madre e voglia di essere indipendente, accompagnano la lettura per buona parte del libro e sono le pagine che forse più contribuiscono a descrivere il contesto sociale in cui si muovono i protagonisti.
Come successo con i Cazalet, lo scenario c’è, si percepisce, se ne afferrano stralci ma non fa mai da protagonista. La Howard lo svela con piccole pennellate qua e là, tra un capitolo e l’altro.
Alice, figlia del Colonnello, apre il romanzo con il suo matrimonio di cui da subito si ha il sentore non sia la classica cerimonia che suggella il giorno più felice per una coppia di innamorati. Sono ben altri i motivi che portano la ragazza ad allontanarsi da casa. Purtroppo però, una scelta non convinta e fatta come via di fuga non si rivela sempre quella giusta. Il lettore assiste inerme ad una involuzione del personaggio, sin quasi alla passività che solo un colpo di scena potrà scrollare via.
“Alice si meravigliò della facilità con cui suo marito passava dall’ammirazione per la sua capacità di fare qualcosa che per lui era incomprensibile all’insofferenza di doverla continuamente spronare a intendere la vita nel modo in cui la intendeva lui”
May è una donna matura che ha perso il primo marito e vissuto un periodo di grande vuoto che solo un nuovo compagno avrebbe potuto colmare.
“…la perdita si poteva lamentare solo sul più casto piano affettivo – la sedia vuota davanti al focolare – mentre per il letto vuoto e per il corpo dolente di desiderio non c’era spazio nel protocollo sociale del lutto”
Il suo temperamento accomodante e la sua innata educazione la rendono di poco polso, timida ed insicura. Una figura che mi ha lasciata un po’ dubbiosa all’inizio non comprendendo per prima se ben volerla o no.
Con lo scorrere dei capitoli, emerge però una May vittima, delle circostanze e delle emozioni, del destino e delle sue incertezze. Le sue seconde nozze non si sono rivelate quello che sperava. Herbert non è un tipo affettuoso, non le è amico.
La sua vita scorre solitaria, preda facile per ciarlatani della filosofia e la sua salute sempre più precaria nasconde una verità inimmaginabile.
I colpi di scena che nelle ultimissime pagine si susseguono vorticosamente portano una ventata da gilallo simenoniano che non ci si aspetta. Sempre con la sua prosa lenta ed imperscrutabile, la Howard riunisce tutte le tessere del puzzle ed affida ad ogni protagonista un ruolo finale sorprendente.
Riflessioni e rivelazioni si dischiudono come fiori. La verità non è mai assoluta, ognuno ne ha una che vale solo la metà rispetto a quella degli altri. La relatività del cosmo, delle emozioni, dei pensieri che ci siamo costruiti con l’esperienza sono fragili basi.
La donna che viene fuori da questa lettura, facendo una media delle tre protagoniste femminili, non è forte, non si fa sentire, non si oppone ma ha una sorta di corazza emotiva che la tiene a galla. L’epoca che descrive la Howard la vede sottovalutata e considerata con inferiorità. Le parole di Oliver, fratello devoto, nei confronti della sorella Elizabeth ne sono una lampante testimonianza:
” Per voi ragazze è diverso: a te serve un lavoro, a me una carriera”
Poche parole si merita il Colonnello Herbert che all’inizio appare semplicemente un anziano militare rigido ed impettito, allergico ai cambiamenti, alle nuove mode e fortemente attaccato alle tradizioni. Con grande maestria la Howard ci svela lentamente una persona che ha covato e cresciuto dentro sé la parte più egoista e bestiale che l’animo possa avere. Alla fine suscita talmente tanto fastidio da applaudire l’autrice per “i provvedimenti” presi.
Per concludere, un altro successo appagante. Promosso in tutti i suoi aspetti questo libro vi chiama se cercate una lettura tranquilla, ma in apparenza! Se avete bisogno di stile, capacità e talento non fatevelo sfuggire.