Titolo: Le cinque donne. La storia vera delle vittime di Jack lo Squartatore
Autore: Hallie Rubenhold: Scrittrice e storica, con questo libro ha vinto il Premio Baille Gifford per la categoria non-fiction
Traduttore: Simona Fefè
Editore: Neri Pozza
Pagine: 400
Prezzo: eur 19.00 brossura
- Copertina: ♥♥♥♥/5 Preferiamo le copertine disegnate
- Storia: ♥♥♥♥♥/5 Inedita
- Stile: ♥♥♥♥♥/5 Perfetto
Londra 1887, l’anno del festeggiamento reale della regina Vittoria ma anche l’inizio dell’autunno del terrore dove un uomo rimasto senza volto ed impunito ha segnato con la sua mano crudele la storia dell’umaintà con 5 assassini.
Furono ascoltate più di 2000 testimonianze.
L’atmosfera di sensazionalismo attirò frotte di giornalisti. Notizie vere si mescolarono a voci infondate.
Ma chi era veramente Jacques lo Squartatore?
“un marinaio, un ebreo, un macellaio, un chirurgo, uno straniero, un pazzo, un’intera banda di estorsori”.
Cominciamo a capire dove.
Whitechapel era uno dei quartieri più malfamati del paese. Strade intasate dalla spazzatura, pozze di acque putride ai margini di marciapiedi crepati. Case sovraffollate, stanze di 2,5 metri quadri zeppe di bambini cenciosi e donne malmenate.
Insieme ai parassiti, sotto a tetti cadenti, abitavano alcolismo, malnutrizione e una serie di patologie inimmaginabili.
All’epoca questo quartiere era definito come:
“un pozzo nero in cui affondano gli individui più ripugnanti e degradati”
Nell’Inghilterra del periodo vittoriano, l’alcol era una presenza costante tanto nelle case borghesi quanto in quelle povere. Per le prime era soprattutto una bevanda di piacere, che accompagnava la chiacchiera e l’ospite. Per le seconde spesso si usava come tonico per il raffreddore, la febbre o il mal di denti.
Di indigenza ce n’era tanta.
Nonostante le normative, i controlli, era impossibile stargli dietro. I senzatetto si rifugiavano ovunque, magazzini abbandonati, mattatoi, camere sovraffolate e condivise. Erano reietti, considerati pigri e immorali, pregiudizi senza speranza.
I più decorosi riuscivano a ricevere un sostentamento vivendo dove volevano, i più poveri invece erano costretti a ricorrere alle workhouse, case insalubri, dove la dignità non aveva mai abitato
“I nuovi ospiti venivano privati dei vestiti e dei beni personali, poi venivano obbligati a immergersi in una vasca comune e a lavarsi nell’acqua utilizzata da chiunque avesse fatto il suo ingresso nell’istituzione quello stesso giorno…”
In mezzo a questa povera gente c’erano 5 donne:
Polly: madre di cinque figli. Decise di voltare le spalle alla famiglia per una serie di eventi sfortunati a cui non riusciva a porre rimedio.
Annie anche lei madre e moglie, aveva raggiunto una posizione stabile e benestante che molti le invidiavano. Una vita comoda, un ambiente pulito. Poi ha smarrito la strada.
Elizabeth: una donna dalla storia mutevole, convinta che nessuno si preoccupasse per lei e perciò incline alla truffa e alle bugie.
Mary Jane: troppo infangata nel suo ruolo per poter trovare una via d’uscita pulita ed onesta. Neanche l’amore riuscì a darle quel sostegno che avrebbe meritato.
Il loro valore e la loro dignità erano già compromessi dalla nascita. Per loro l’istruzione era un lusso inaccessibile, nel lavoro non avrebbero mai guadagnato quanto un uomo, nella società avrebbero sempre occupato un gradino più in basso.
La comunità le collocava in una posizione assolutamente sacrificabile.
In generale la bussola della morale dell’epoca ricadeva interamente sulla donna la cui abnegazione ed irreprensibilità erano necessarie per la dignità familiare.
Bastava una debolezza, una decisione controcorrente per scriverne il nome sul
registro della vergogna che veniva utilizzato dalla polizia per avere traccia delle donne sospettate di essere dissolute (che presupponeva alle trascritte una serie di regole quali il non potersi affacciare alle finestre, non poter salutare i passanti).
Le cinque donne di cui ci parla la Rubenhold sono diventate vittime dello Squartatore perché hanno cercato di sfuggire alla loro realtà.
Perdersi tra i vicoli di Whitechapel, fornire falso nome, voltare le spalle alla famiglia d’origine e non dare più nessuna notizia di sé era un modo per venire fuori da un ruolo troppo stretto. Le costrizioni domestiche, l’indigenza, la solitudine di una condizione svantaggiosa.
I valori vittoriani non davano alla donna né voce, né diritti. Se all’essere femminile si univa anche lo status di povertà, quell’essere umano perdeva ogni capacità di riscatto, di credo, di valore.
Cosa ci lascia in eredità questo libro? Non è una storia già conosciuta, di cui a carnevale indossiamo la maschera.
E’ un percorso studiato per fare di quelle vittime delle persone.
In questo romanzo il cattivo non si è trasformato in un protagonista come accade spesso anzi è rimasto nell’ombra nominato poco e niente. La Rubenhold ha stravolto il punto di vista del comune pensare abbassando fin quasi ad annullare il profilo del cattivo a vantaggio di quella delle vittime.
L’autrice tocca un tema terribilmente attuale ovvero quello di credere che esistano donne di serie A e di serie B sulla base di quello che fanno o che si presuma facciano. Un modo di pensare discriminante, ancora presente oggigiorno nel tessuto culturale
Una lettura potente, accusatoria e rivoluzionaria. Dal passato sembra che si difendano stereotipi ancora da sconfiggere e non sarebbe una cattiva idea partire proprio da ciò che è stato, rivederlo per poi pensare a cambiare il futuro.
La ricostruzione storica è meravigliosa, scorrevole, equilibrata tra fonte attendibile e supposizione. Uno scenario che sembra muoversi tra le pagine.
Lo stile non è mai ridondante né aneddotico. Le notizie scorrono veloci come su un quotidiano alternando l’uomo alla comunità per creare una fotografia completa di un’epoca difficile.
Ai lettori aperti al cambiamento e a cui piace mettere in discussione radicati punti di vista: troverete in questo libro un testo assolutamente degno!