L’amante di Lady Chatterly di D.H.Lawrence

Autore: D.H.Lawrence
Editore: Mondadori
Pagine: 418
Prezzo: Lire 500 – un’edizione vintage del 1969
  • Copertina: 4♥/5
  • Storia: 5♥/5
  • Stile: 5♥/5
C’è una decadente villa familiare, un casamento, da cui si sente il rumore della miniera poco distante. Le stanze sono malinconiche, i muri decadenti.
All’esterno un odore acre, un velo di polvere di carbone ricopre ogni cosa, ingrigendo i colori della natura.
Qui la giovanissima Constance si invaghisce del suo guardiacaccia.
Insieme, attratti fisicamente come due magneti, conquisteranno un paradiso tutto loro, aldilà della coscienza. Diventeranno amanti, indotti alla libertà dell’istinto. Faranno della capanna e dei boschi il loro nido amore, si uniranno sotto la pioggia come fauni, facendosi beffe del mondo.
Dentro la dimora invece sir Clifford, mutilato dalla guerra molto giovane, se la vede con Mrs Bolton. Egli, paralizzato dalla vita in giù, è costretto a concentrare tutte le sue energie e la sua passione nel cervello. La sua infermiera, personaggio singolare, ne ricerca l’interesse in maniera quasi perversa.
L’ambiente nel quale si muovono questi quattro personaggi è significativo. Da una parte il nido passionale degli amanti, dall’altra quello teorico dell’uomo sulla sedia a rotelle, tutt’intorno grigi abitanti del villaggio, minatori resi schivi dalla differenza di classe sociale ed abbrutiti  dal quotidiano.
Uno scenario che viene scalfito soltanto alla fine, con il breve soggiorno di Connie in Italia.
La città di Venezia, emblematica, rappresenterà infatti l’effimero, il volubile, l’esatto opposto dell’ambiente inglese e sarà particolarmente significativa per giungere all’epilogo della storia.
Il personaggio di Clifford è irritabile e schivo, non tollera se non la moglie a cui legge i racconti che si ostina a scrivere giornalmente. Connie si presta sempre ai suoi desideri, consapevole del bisogno che ha di averla vicina fisicamente, probabilmente l’unico modo per sentirsi ancora vivo.
L’incontro nel bosco con Oliver Mellors segna un punto di svolta.
È un incontro anonimo e banale eppure Connie sente che le è successo qualcosa dentro.
Percepisce un colpo nell’anima e sa che, per una legge di natura, una ferita del genere rimane latente per poi espandersi silentemente e venire fuori con un tremendo dolore quando la persona meno se lo aspetta.
Le conversazioni con gli amici di Clifford, l’eterna solitudine, l’assenza di svago e l’intimità forzata cui si sottopone prendendosi cura del marito, la portano ad una grande frustrazione.
Preme nel suo petto una tormentosa domanda:
Avrà mai un figlio?
Un ritorno inatteso nella vita di Mellors creerà grande scompiglio. Non appena Connie tornerà dal soggiorno a Venezia, fatto con la sorella Hilda, tutto sarà diverso.
Gli incontri con il guardiacaccia, nonostante siano ricordati per il loro erotismo, in realtà sono per Lawrence un portale attraverso cui esternare riflessioni impellenti che possono raggrupparsi nel generale tema dell’equilibrio che affanna continuamente l’uomo e verso cui il progresso non ne è che un grande attrito.
L’uomo e la sua sensibilità fisica, il rapporto dei sessi, la realizzazione dell’io, tema già trattato ne L’arcobaleno.
Alleggeriti dalla narrazione questi argomenti popolano rumorosamente tutto il romanzo trascinando il lettore a riflessioni forzate.
La donna che ci viene presentata fin dalle primissime pagine è completamente diversa da quella che siamo abituati a vedere nella letteratura del 900.
Connie è sbrigliata, libera di vagare nella conversazione intellettuale e di far sentire il proprio parere al pari di un uomo. Non arretra, concede la parte fisica di sé non per diventare proprietà ma semplicemente per esprimersi.
Come sempre c’è una profonda analisi del contesto sociale, di una Inghilterra delle macchine, dell’industria, dove l’uomo è mosso dal denaro in contrapposizione al vecchio paese agricolo, l’intuizione alla spontaneità.
“quell’Inghilterra stava per produrre una nuova razza di uomini ultrasensibili dal lato del denaro e da quello politico e sociale; ma, per tutto quello che era spontaneo e intuitivo, più morti dei morti.
A metà cadaveri, ma con una consapevolezza paurosamente persistente nell’altra metà”
Alla fine di questa edizione del 1969 c’è una bellissima postfazione firmata dallo stesso Lawrence.
Da qui  traiamo grande illuminazione sul peso di questo romanzo.
Abbiamo conferma di quanto consapevolmente egli abbia utilizzato un vocabolario per molti considerato osceno.
In questo uso indirizzava la sua storia ad un pubblico di spirito, in grado di intravedere un’unità armoniosa tra parola e azione. Un pubblico che non si sarebbe lasciato scandalizzare da ciò che è comunque parte dell’essere umano al pari dei sentimenti.
L’uso delle parole definite volgari quando venne pubblicato il romanzo sono proprio il mezzo attraverso cui Lawrence vuole far prendere atto allo spirito della presenza di un corpo.
Egli stesso scrive:
“l’oscenità sussiste solo quando lo spirito disprezza e teme il corpo quando il corpo odia lo spirito e gli resiste”
Il personaggio del guardiacaccia incarna l’armonia e la coesistenza a cui Lawrence tanto teneva.
E’ un romanzo affascinante che in maniera inconsueta per la letteratura del Novecento porta alla luce temi ancora attuali.
La posizione dell’autore è chiara e perentoria, regalando alla narrazione una prosa sentita e passionale.
L’intreccio è lento come un corteggiamento, con pagine di grande trasporto. E’ una lettura che scorre ma non ha la fluidità che ci si potrebbe aspettare proprio per l’impronta riflessiva e filosofica che l’autore gli ha voluto dare.
Bello ma non per tutti. E’ un libro che cerca il lettore pacato e sensibile, spirituale e aperto a cui Lawrence  tanto aspirava.
Fate attenzione all’edizione!! Una economica mai come in questo caso fa la differenza trasformando il romanzo in una storia volgare e rude.
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