L’accabadora di Michela Murgia

Autore: Michela Murgia
Editore: Einaudi – Super ET
Pagine: 163
Prezzo: eur 12.00 brossura
  • Copertina: ♥♥♥♥♥/5
  • Storia: ♥♥♥♥♥/5
  • Stile: ♥♥♥♥♥/5

 

Sinossi:

Maria e Tzia Bonaria vivono come mamma e figlia, ma la loro intesa ha il valore speciale delle cose che si sono scelte. La vecchia sarta ha visto Maria rubacchiare in un negozio, e siccome nessuno la guardava, ha pensato di prenderla con sé perché “le colpe, come le persone, iniziano esistere se qualcuno se ne accorge”.
E adesso ha molto da insegnare a quella bambina cocciuta e sola: come cucire le asole, come armarsi per le guerre che l’aspettano, ma soprattutto come imparare l’umiltà di accogliere sia la vita sia la morte.
La Sardegna, terra calda e accogliente, che ancora conserva e tiene strette a sé tutte le usanze antiche e le superstizioni che sopravvivono in barba al progresso.
“sono maledette solo la morte e la nascita consumate in solitudine”
L’atmosfera che si respira nel romanzo è quasi senza tempo, in un limbo tra vecchie leggende e una modernità che si fa sentire negli spifferi di un vento nuovo.
Una terra di mezzo dove ci si chiede se sia giusto intaccare il destino, spingerlo verso una risoluzione più rapida. Se non ci si rivesta di ruolo e di poteri che non ci appartengono.
A chi spetta veramente il diritto di continuare a vivere? Alla malattia? Logorante, dolorosa, che spegne lentamente ogni dignità? Oppure all’essere umano, che si guarda avanti e non vede speranza, non vede appiglio?
” – Credi davvero che il mio compito sia ammazzare chi non ha il coraggio di affrontare le difficoltà? –
 – No, credo sia aiutare chi lo vuole a smettere di soffrire.”

Tra questi interrogativi si muovono i due personaggi principali della narrazione. Da un lato Bonaria Urrai, sarta di giorno ma di notte, con uno scialle che la fa sembrare un’ombra se non uno spirito, il suo ruolo si trasforma, entra nelle case e regala una fine.

Dall’altro lato Maria, giovane bambina presa sotto l’ala protettrice come fill’anima dalla stessa Tzi Bonaria.
Una ragazza, che seppur cresce tra i rituali e le cerimonia ataviche di una Sardegna rurale e tradizionalista, sente sulla pelle la spinta verso un modo di agire e di pensare diverso.
Ma non sarà la sua esperienza lontano dall’isola ad intaccarne le origini.
Tornerà.
Le si chiederà se sarà capace di porre fine a quei rituali antichissimi che rendono la sua terra coperta da un velo cupo e da un misticismo leggendario o se sarà in grado invece di prenderne le distanze, lasciando da parte l’eredità degli avi e liberando il destino al suo corso naturale.
La storia si sgrana lentamente come un rosario, con Maria dagli occhi profondi ed espressivi, così riflessiva e pacata e Tzia Bonaria con le sue mani ossute.
Mani disadorne, senza anelli, intrecciate come un gomitolo che dicono molto più di quello che potrebbe fare uno sguardo. Lì dentro c’è tutto, il suo sapere, le sue decisioni, quello che sta per dire e quel che farà.
Quelle mani che accoglieranno la piccola Maria, liberandola da una famiglia che non si accorge della sua esistenza. Mani che accompagneranno gli scarsi dialoghi tra loro perché saranno i gesti quotidiani, quelli alla luce del sole e quelli più silenti a plasmarne il legame.
Altri personaggi, che contribuiscono a completare un microcosmo dalle tinte forti e calde, chiedono al lettore di avvicinarsi a quel sottile confine che c’è tra pietà e delitto, di fermarsi in quella posizione scomoda che chiede una risposta.
Una storia molto toccante su un tema che disturba e che è solito generare schieramenti opposti, di difficile dialogo. Tante le riflessioni, tanti i dubbi.
Con parole soppesate, alternando ombra e luce, la Murgia disegna una Sardegna che si allontana dall’immagine collettiva di acqua cristallina e distese sabbiose. Troviamo anzi un’isola cupa e chiusa, un’esoticità che la allontana dal presente risucchiandola in un tempo che lì sembra essersi arrestato.
I personaggi sono pochi e sfuggenti ma di tutti ci è lasciato afferrare quel dettaglio che gli da la giusta posizione nella trama.
Una lettura molto intensa e molto bella che, in maniera indiretta e quasi noncurante, tocca l’eticità dell’eutanasia, quel momento in cui sia un sì che un no rappresentano l’aver deciso al posto di un altro.
La Murgia la seguiamo sui podcast e nel suo attivismo sociale ma da ora in poi il nostro interesse si estenderà anche alla sua narrativa. Non c’è dubbio
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