Il racconto dell’ancella – Margaret Atwood

Titolo: Il racconto dell’ancella

Autore: Margaret Atwood. Nota scrittrice canadese di romanzi e poesia. Ha pubblicato moltissimo e si dedica alla sua passione sin da giovane. Più volte candidata al Nobel per la letteratura.

Editore: Ponte alle grazie

  • Copertina: ♥♥♥♥♥/5
  • Storia: ♥♥♥♥♥/5
  • Stile: ♥♥♥♥♥/5

 

Esistono due tipi di libertà. La libertà “di” e quella “da”. La prima lascia l’uomo padrone di scegliere cosa fare, come e quando. La seconda invece sottintende una sottrazione, un togliere.

La libertà “da” in realtà è una prigione.

A Galaad c’è un ordine prestabilito. Ognuno ha un ruolo, cose da poter fare, dire. Ci sono limiti da tenere sempre a mente per non sconfinare nel proibito. Dentro questi limiti l’essere umano è solo.

L’ancella, con il capo coperto da un velo e chiuso dalle alette di stoffa, vede il mondo a piccoli assaggi.

Lei vive così. La sua stanza è scarna, disadorna come le sue giornate. Può uscire a fare la spesa, testa bassa, senza parlare, senza guardare. Può stare seduta in camera sua, senza poter leggere, né scrivere o trastullarsi con altro passatempo. Lei ha solo un corpo, vestito di rosso, che serve a procreare laddove una moglie non ci sia riuscita.

Un contenitore, che ha bisogno del suo opposto. La prima è solo carne, la seconda solo spirito.

 

” Noi siamo dei contenitori, è solo il dentro dei nostri corpi che è importante. L’esterno può indurirsi e divenire rugoso, come il guscio di una noce”

Tutto le è proibito. La musica, l’amicizia, le chiacchiere, l’amore. Solo la sua testa, i suoi pensieri sono privi di catene.

Così si perde in briciole di ricordi. Li assapora, li annusa ma quando provano a diventare vivi, a trasformarsi in emozioni sul suo viso, allora li scaccia via. Per non impazzire.

Le giornate sono tutte uguali. Diventa difficile così credere che ci sia stato un prima. Credere che si poteva ridere, fare il bagno al mare, mangiare un gelato ed essere felici.

La chiamano Difred ma non è il suo nome. Quello è proibito come tutto il resto. Il nome vero lo nasconde nella sua testa, un tesoro che spera riuscirà a scavare, un amuleto.

In questo futuro lei è solo un involucro, un’incubatrice, un mezzo. Il suo io non esiste, le persone che ha amato le deve dimenticare. I figli li deve abbandonare e nascondere dentro sé quel grido lacerante che il dolore la forza a sputare fuori.

L’uomo che cura il giardino si spinge sempre al confine del lecito. Cerca una risposta ai suoi sguardi sfuggenti. Forse non ce la fa più a sfuggire ai desideri della carne.

“…nessuno muore per mancanza di sesso. E’ per mancanza d’amore che moriamo”

Lei in fondo confida in lui, in ciò che rappresenta. Immagina di essere salvata, di poter andare a cercare quella bambina ormai cresciuta che tiene nel cuore.

” Mi si può biasimare se desidero un vero corpo, da stringere con le mie braccia? Senza di esso anch’io sono incorporea”

Il mondo dell’ancella non è il residuo di un disastro ma il frutto di un progetto. E’ come se, raggiunto un livello massimo di libertà nei costumi, negli atteggiamenti, nei sentimenti, si dovesse finire all’opposto. Creare un mondo dove niente è permesso. Dove il massimo dell’illecito è chiedere di desiderare, desiderare una partita a scarabeo, il bacio della buona notte.

Siamo veramente in grado di reprimere le nostre passioni, i nostri istinti? Oppure cerchiamo strade sotterranee, nell’ombra, dove essere liberamente noi stessi?

In un futuro indefinito, durante un regime teocratico, repressivo e disumano, un’ ancella si racconta.

Racconta la sua vita a casa del Comandante, le sue giornate scandite da riti e ricorrenze stabiliti. Racconta i suoi ricordi, di una vita com’era prima.

Vicino a lei sfilano altri personaggi che possiamo intravedere solo con la coda dell’occhio perché lo sguardo dell’Ancella è imprigionato dietro alette laterali.

Donne, come lei, opposte a lei. Nemiche, carcerarie e qualcuna affine. Tutte fedeli, ossequiose, rispettose. Sentimentalmente sterili, devote e grate.

Un romanzo ipnotico che crea una tensione alta fino all’ultima pagina.

Una sorta di diario con dialoghi pressoché assenti. Un alternarsi tra presente e passato di una voce narrante che dà movimento alla storia aumentandone l’aspettativa.

Descrizioni brevi, concise, ridotte all’osso a riflettere la velocità emotiva con cui l’Ancella è costretta a rapportarsi al resto del mondo.

Ancella come incubatrice, ridotta alla sola funzione biologica della creazione. Eppure così femminile anche se gli elementi oggettivi che raccogliamo di lei sono solo una manciata.

Un romanzo distopico in cui ci sono vittime anche dove non sembra. L’uomo, fautore e padrone dell’Occhio che tutto vigila, è anch’egli privato di scelta, di empatia, di coinvolgimento emotivo così fondamentale nelle relazioni umane.

Consigliato a chi cerca un libro originale, coinvolgente. Adatto a chi vuole una lettura di stampo femminista raccontato in maniera nuova ed alternativa.

 

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