Il mare non bagna Napoli di A.Maria Ortese

Titolo: Il mare non bagna Napoli

Autore: Anna Maria Ortese

Editore: Adelphi – 2008

Prezzo: eur 9.60 brossura

Pagine: 176

  • Copertina: ♥♥♥♥♥/5 Raffinata
  • Storia: ♥♥♥♥♥/5 Toccante
  • Stile: ♥♥♥♥♥/5 Affilato

Racconti.

Pochi, profondi come pozzi, neri come l’abisso. Ti stringono in una morsa, ti prendono allo stomaco e ti incollano gli occhi alla loro verità.

Le pagine che ci hanno colpite e affondate sono le prime, quelle storie di spaccato quotidiano di una città chiassosa, ossequiosa delle tradizioni, ancora chiusa all’idea di mescolare i ruoli e sotterrare i preconcetti.

Una città popolosa, con il sole che attraversa la polvere e regala ai vicoli una luce torbida.

I carretti della frutta, nei posti più impensati, perennemente in gara per la merce più bella.

Napoli e i suoi suoni, i passi di chi  cammina, quelli frettolosi di chi va al mercato, quelli trascinati di chi è senza meta, il salutarsi dalle finestre, il chiamare i bambini a casa, il prezzo gridato della merce, una canzone dietro un vetro aperto in chissà quale cucina.

“…finestre, porte, balconi con una scatola di latta in cui ingiallisce un po’ di cedrina, vi spingevano a cercare dietro le povere lastre, pareti e arredi e magari altre piccole finestre aperte e fiorite su un orto dietro la casa; ma non vedevate nulla, se non un groviglio confuso di cose varie, come coperte o rottami di ceste, di vasi, di sedie, sopra i quali, come un’immagine sacra annerita dal tempo, spiccavano gli zigomi gialli di una donna, i suoi occhi immobili, pensierosi…”

Questa terra vibrante si rivela lontana da quel cielo azzurro che si intravede tra le bianche lenzuola stese.

C’è una parte nell’ombra dove una miseria che non ha forma  filtra ovunque come una goccia d’acqua, silenziosa ed inesorabile; impregna i tessuti della gente che sta più in basso e quella, invece di ritirarsi per non bagnarsi si espande e conta figli su figli, affamati, sporchi, laceri, con lo sguardo già adulto ed il sorriso senza infanzia.

“Questa infanzia, non aveva di infantile che gli anni. Pel resto, erano piccoli uomini e donne, già a conoscenza di tutto, il principio come la fine delle cose, già consunti dai vizi, dall’ozio, dalla miseria più insostenibile, malati nel corpo e stravolti nell’animo, con sorrisi corrotti o ebeti, furbi e desolati nello stesso tempo”

Si stagliano senza filtri quartieri in bianco e nero, in un’Italia degli anni 30, S.Biagio dei Librai, Forcella, Via Chiaia, III° e IV Granili, simbolo della caduta della razza umana che la Ortese disegna senza pietà sfondandoci il cuore.

Un inferno di condannati, derelitti senza speranza per i quali non c’è sforzo per la redenzione. Gente ai margini, bestiame.

Un libro scritto con una selvaggia durezza, stemperata solo dalle immagini sacre della Madonnina o di qualche Santo, ospiti d’onore in ogni bottega. La prima parte ha una bellezza descrittiva quasi tangibile, una incredibile capacità di suscitare sensazioni con le parole. Una Ortese a cui Napoli è entrata nel sangue, sentita in ogni nervo, percepita in ogni cellula.

Una seconda parte con una prosa di tutt’altro genere. Si intravede una scrittrice più riflessiva, spostata su altri orizzonti, con il ricordo della guerra in testa e un’antipatia del presente.

Questo cambio di registro ci ha un po’ spiazzate, smorzando e affievolendo il grande coinvolgimento con cui avevamo iniziato ma il libro rimane comunque un’opera assolutamente speciale e da leggere.

Leggere per scoprire che la Napoli delle cartoline c’è, ma ve ne è un’altra non bagnata dal mare perché nessuno la vede o la vuole vedere. La Ortese ci accompagna proprio lì.

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