Titolo: I salici
Autore: A.H Blackwood. (cit.Wikipedia)E’ stato uno scrittore britannico di romanzi soprannaturali. Nonostante si sia cimentato anche in molti racconti dell’orrore, il suo scopo abitualmente non è generare terrore nel lettore, ma di suscitare una “paurosa” e “soprannaturale” meraviglia. Alcuni validi esempi in questo senso sono Il centauro, che culmina con l’incontro di un branco di queste mitiche creature da parte di un viaggiatore, e Julius LeVallon, con il suo seguito The Bright Messenger, che riguarda la reincarnazione. È considerato uno dei fondatori del genere narrativo dei “detective dell’occulto”, con il suo personaggio John Silence.
Traduttore: Francesca Cavallucci
Editore: Abeditore – 2019
Pagine: 146
Prezzo: 6.90 eur
- Copertina: ♥♥♥♥♥/5 Con lode
- Storia: ♥♥♥♥♥/5 Con lode
- Stile: ♥♥♥♥♥/5 Con lode
” Con questa moltitudine di salici però, ciò che sentivo era qualcosa di completamente diverso. Emanavano un’essenza che tormentava il cuore. Risvegliavano un sentimento di timore, è vero, ma di timore con una punta di vago terrore. I loro ranghi serrati, che diventavano sempre più bui intorno a me mentre le ombre si addensavano, si muovevano furiosamente ma anche dolcemente nel vento, procurandomi la sensazione curiosa e sgradita ce avessimo sconfinato in un mondo alieno, un mondo dove eravamo intrusi, un mondo dove non eravamo voluti o invitati a restare…”
Il Danubio, un fiume che nasce timidamente, perdendosi sotto le colline calcaree quasi a scomparire, per poi riconquistare vigore poco dopo.
Una sorta di creatura vivente, con la sua voce tonante, altre volte cristallina. Con il suono inconfondibile dell’impetuosità del suo scorrere e perdersi in anse o dolci curve.
Il protagonista di questa storia, assieme ad un amico svedese con cui ha condiviso numerose avventure, si accampa su uno degli isolotti più alti a cui il fiume gira attorno. Il panorama monotono e privo di forme di vita, si presenta già ostile. La marea in procinto di salire, il vento rabbioso e violento, e i salici piegati in avanti come mostri assetati.
Siamo in una zona morta, deserta e paludosa. Le acque del Danubio qui scorrono impetuose, senza una regola. Formano improvvise anse, vortici spumeggianti che poi raggiungono le rive.
Sulla cartina questa zona è indicata col termine Sumpfe, palude.
Sono proprio i salici ad infastidire il narratore. Così fitti e vicini, mossi dal vento all’unisono, serrati tanto da sembrare un muro che copre la luce del cielo con le loro ricche chiome.
“I salici in modo particolar, che continuavano a chiacchierare e parlare tra di loro, ridevano un po’, poi stridevano, a volte sospiravano…”
Immaginatevi questo scenario cari lettori, descritto come il resoconto di un amico scampato al pericolo. Una persona provata nel corpo e nella mente da un terrore sfiancante cui fatica a dare una spiegazione razionale. Un disagio che si aggrappa al cuore con piccoli artigli, alita sul collo, risuona nelle orecchie.
“…saremmo più saggi a non parlarne, o addirittura a non pensarci, perché quello che uno pensa trova espressione nelle parole, e quello che uno dice poi accade”
Due episodi singolari sembrano essere una conferma del trovarsi in un posto unico, quasi vivo.
I salici, protagonisti indiscussi del paesaggio, si muovono scossi dal vento. Le numerose foglie ed il fusto leggero fanno sembrare le piante dotate di una volontà propria. A guardarle con il solo riflesso argenteo della luce lunare, sembra che nascondano delle creature.
Quando il terrore prende possesso dei nostri pensieri, quando non abbiamo più spiegazioni razionali per placarlo, esso arriva a dominarci incontrastato. Diventiamo vigili, in una ricerca spasmodica di risposte, diffidenti verso chi ci sta vicino, sospettosi di qualsiasi segno ci appaia sconosciuto.
Siamo tesi, nervosi, attenti e silenziosi. La nostra paura si alimenta da sola, cresce senza trovare nulla contro cui arrestarsi.
Eccolo il nostro narratore, non ancora vittima, ma carnefice di sé stesso. L’indeterminatezza di quello che gli sta accadendo non rende possibile nessuna preparazione né difesa verso quello che inevitabilmente accadrà.
Un libricino che entra in una mano potrebbe mai essere così potente? Si
Abeditore è una casa editrice di nicchia che sforna testi particolari non solo nei contenuti ma anche nella forma. Non è la prima volta che sugli scaffali di Carezzedicarta si fa spazio ai loro libri. Curatissimi nella grafica, nel carattere, nella consistenza delle pagine.
Con loro tutto “fa” libro, non solo l’intreccio.
In questo caso, come le premesse ci avevano avvertito, si è trattato di una storia inquietante che, in un crescendo senza riposo, porta la narrazione ad un livello di disagio ed angoscia incredibili.
Molti diranno che è solo un libro, ma la penna che lo scrive può catturare a tal punto la nostra attenzione e soggiogare il nostro inconscio da far trattenere il respiro nei passaggi più cupi. Il senso di inquietudine non lascia stare il lettore neanche all’ultima pagina.
Lo si legge in un soffio? Si se siamo capaci di gestire le nostre paure.
No, se abbiamo bisogno di riprendere ossigeno e guardarci intorno per essere sicuri di trovarci a casa nostra, al sicuro.
Tutto è giocato sull”atmosfera. elusiva e poi via via più minacciosa. Essa non soltanto determina i colori dello scenario, neri e grigi, bui e cupi, ma anche lo stato d’animo dei 2 amici che abbandonano quasi subito la loro spensieratezza perché immediatamente ricettivi all’ostilità di ciò che li circonda, seppur senza riuscire a capirne il motivo.
Una natura selvaggia, senza la mano dell’uomo a domarla, è palcoscenico di quelle forze misteriose ed oscure di cui non possiamo scorgerne la presenza.
La passione per l’occultismo da parte dell’autore si traduce in un racconto carico di tensione.
Questo non è un genere solo per gli amanti delle storie gotiche, è un romanzo in miniatura che apre la mente sulle potenzialità che nasconde un libro, su cosa ci può fare la lettura, come riesca a catturare tutto di noi soggiogando anche la parte più reale.
Non aspettate che l’ignoto venga da voi, andategli incontro.