Diario di una cameriera – Octave Mirbeau

Diario di una cameriera

Autore: Octave Mirbeau

Editore: Elliot

 

Celestine ha avuto un’infanzia difficile, violenta. E’ cresciuta senza regole, alla giornata. Ha conosciuto troppo presto le bassezze e la cattiveria della gente. E’ diventata donna a dodici anni, con tutto ciò che di fisico ed emotivo questo ruolo comporta. Per potersi mantenere ha iniziato a fare la cameriera.

Siamo alla fine dell’Ottocento questo lavoro, assieme a quello dell’istitutrice o governante, è praticamente ancora l’unico che sia considerato decoroso per una donna, maggiormente se non sposata. 

 

Nell’immaginario collettivo le cameriere sono sovente legate ad uno stereotipo: non acculturate, fedeli, poco scaltre. Sono un’ombra nelle case borghesi ed il loro ruolo è fondamentalmente legato alla manovalanza, escludendo tutto ciò che ci può essere di intellettivo. Ma non è proprio così.

Célestine legge Paul Bourget e si abbandona spesso a pensieri romantici ed atmosfere zuccherine. Quando aiuta le signore a vestirsi, a prepararsi, quando ne rassetta il guardaroba o ne lava i vestiti, tiene in mano pizzi e merletti con occhi sognanti, sperando di poter essere dall’altra parte un giorno.

Ma questa differenza così lampante tra i due mondi, quello della servitù e quello dei padroni, invece di renderne più forti i sogni, fanno  amaro ed insopportabile il lavoro. Celestine cambia continuamente casa, si licenzia pensando di trovare di meglio ma ogni volta la delusione è più scottante.

Riflettendo sulle persone a servizio, così come gli ufficiali di collocamento e le case di tolleranza, li considera come

…fiere di schiavi, stalle di carne umana”

Non è che una donna, che chiede di essere amata e protetta.

Così scrive un diario, dove senza mezzi termini, viene messo nero su bianco tutto il marcio che si cela dietro salotti splendenti ed abiti sfavillanti. I padroni che Celestine incontra nella sua vita sono persone come tutti, con i loro egoismi, le loro bassezze, i loro desideri scabrosi e le loro bugie. Un aspetto che solo la servitù, sempre a stretto contatto con loro e soprattutto sempre presenti in casa, potrebbe mai svelare.

Celestine mette a nudo l’amore carnale che diventa, per chi è di umili origini come lei, l’unico tipo di attenzione che può ricevere; dai rozzi colleghi abbrutiti dal lavoro e dai padroni che approfittano della condizione subordinata delle dipendenti.

E’ una società moralmente corrotta quella che viene fuori dal diario della cameriera. Migliore forse a Parigi che nelle campagne, dove la vita scorre più monotona e le occasioni di svago sono poche.

“E poi, la messa è un’evasione, una distrazione, tempo guadagnato sulle noie quotidiane della solita baracca…Significa, soprattutto, compagni che si incontrano, novità che si apprendono, occasione di fare conoscenze…”

 

Una borghesia poco fedele a se stessa, poco onesta anzi molto incline al compromesso. E non c’è differenza tra donne e uomini, perché se questi ultimi tradiscono il letto coniugale con chi capita a tiro, le mogli comunque non disdegnano amanti fuori le mura domestiche oppure si trasformano in algide e vergini padrone di casa che fanno colpevoli delle loro sterili esistenze proprio quelle cameriere che loro stesse hanno assunto.

 

Nel diario di Celestine non si racconta solo degli altri. La ragazza si svela, attraverso qualche vicenda della sua vita. Ricorda il suo attaccamento per il cameriere Jean. La breve ed intensa storia avuto con George, figlio di una ricca borghese e malato terminale. Il suo amore ostinato verso Monsieur Xavier da cui si è fatta illudere e ricattare.

 

“Ho sempre avuto l’ansia di essere altrove, una follia di speranze in questi chimerici altrove che rivestivo di poesia, del miraggio illusorio delle cose lontane…si, si va, ed è sempre la stessa cosa…Un domestico non è un essere normale, un essere inserito nella società…E’ un essere diverso, composto di parti che non si incastrano l’una con l’altra, né si giustappongono…E’ qualcosa di peggio: un ibrido umano. non appartiene più al popolo da cui esce, ma non è nemmeno parte della borghesia in cui vive e verso la quale tende…”

 

Forse solo un azzardo potrebbe cambiare il futuro di Celestine, un salto nel buio sperando di toccare presto terra.

Così il diario della ragazza si conclude; una nuova sistemazione, un nuovo lavoro, un uomo accanto di cui non importa se non sa cosa fa e da dove viene, se si è macchiato dei più indicibili peccati o se ha l’animo pulito. E’ un’alternativa, magari l’ultima. Celestine sa con certezza ciò che lascia e preferisce abbandonarsi all’ignoto che ha davanti, sperando ancora una volta che non brilli solo in superficie.

Una storia bella e dura da leggere. Un diario, in quanto tale, è scritto con uno stile semplice, schietto, crudo e privo di fronzoli. Le cose vengono dette così come sono, per quello che suscitano e talvolta sono pensieri stonati, forti, oltraggiosi. Le prime pagine infatti ci hanno lasciate un po’ perplesse, solo in un secondo momenti siamo riuscite ad immergerci in una lettura così confidenziale.

Non c’è mai una pagina volgare nonostante l’amore carnale, come unica forma concepita di sentimento reciproco, sia al centro dei racconti. Le immagini più spinte sono sfocate, si percepiscono ma non se ne coglie la bassezza.

L’umanità sicuramente ne esce perdente. Il quadro che viene tracciato della società dell’epoca le fa poco onore e diventa difficile da riscattare ma sentiamo più veritiro questo racconto che una storia romantica di soli trine e merletti.

La servitù in generale non deve aver vissuto periodi facili. Le fatiche del lavoro si sommavano al poco salario. Spesso ed indipendentemente dalle ricchezze della casa, il personale a servizio mangiava avanzi, viveva in ambienti non riscaldati, non conosceva ferie o riposo, non poteva avere figli.

Veniva chiesta fedeltà e lealtà ma i padroni per primi chiudevano a chiave, prima di coricarsi, dispense e  mobili per evitare piccoli furti; non contribuendo a creare quel rapporto di rispetto reciproco che sarebbe invece servito.

Un libro interessante, scandaloso a tratti e denunciante una moralità ambigua e peccaminosa. Un pezzo di storia raccontato da una voce insolita, abitualmente silente nel protagonismo borghese.

Concludiamo con le parole dello stesso Mirbeau:

“…è un libro privo di ipocrisie, perché dentro c’è la vita, la vita così come la concepiamo…le maschere umane, la tristezza e la comicità dell’essere uomini…quella tristezza che fa ridere, quella comicità che commuove le anime nobili…”

Lo consigliamo agli amanti del genere, agli storici romantici, a chi cerca una lettura alternativa nello stile e nel contenuto alla narrativa più conosciuta.

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