Titolo: Da dove la vita è perfetta
Autore: Silvia Avallone. Giovane e talentuosa scrittrice. Questo è il suo terzo romanzo, preceduto da altri due successi.
Editore: Rizzoli
Lo sa solo una donna cosa vuol dire partorire. Non ci sono parole che possono descrivere quello che succede al tuo corpo e al tuo cuore per nove mesi né qualcuno può mai mettere ordine nelle emozioni e nel dolore che si intrecciano durante le ore di travaglio. Non c’è età per tutto questo.
Adele si contorce, si arrabbia. Poi si perde in mille pensieri tra passato e futuro. In quella stanza di ospedale cammina su e giù come un leone in gabbia.
“La città le era estranea. Le era estraneo il cielo. Forse aveva ancora una casa da qualche parte, forse avrebbe dovuto ricominciare la scuola o cercarsi un lavoro. Ma non aveva senso niente, neppure mettere un piede davanti all’altro”
Fuori c’è Rosaria, sua madre. Una donna lacerata dalla fatica di arrivare a fine mese e abbrutita da una vita di fregature. C’è anche Manuel, che è riuscito ad ottenere un permesso dal carcere.
Ha la sua solita faccia da schiaffi, di quella a cui il mondo scivola addosso senza lasciare il segno. Eppure quanto darebbe per stare con Adele, per assistere a quel magico momento che è la nascita di qualcosa dove ci ha messo del tuo. Ma lei non gliela vuole far vedere quella bambina che sta per uscire, Bianca come la purezza e come il suo nome.
Dall’altra parte della città, in una Bologna bene, c’è Fabio che per una sera vuole dimenticarsi di sé. Che male c’è per una notte, fare finta che sia il solito sabato sera dei vent’anni dove non avevi nulla da fare? Quando il peggior nemico era la nebbia che ti addentava le natiche e non c’era nessun calendario da rispettare.
Dora lo aspetta, stanca dei suoi scatti di rabbia, della sua disabilità. Lei solo una cosa vuole, un figlio. Di tutto il resto non le importa nulla.
Torniamo indietro di nove mesi, quando una nuova vita doveva ancora nascere, quando Adele era una diciassettenne con il padre in galera, con le zeppe di dieci centimetri ed un futuro meschino davanti. Si aggrappa a Manuel, che di problemi ne ha come lei.
L’infanzia per lui è stata un lusso che non si è potuto permettere. Quando è così, con i bei voti a scuola non ci fai nulla. Molli lo studio e ti leghi alla strada, alle persone sbagliate ma che ti sembrano una scorciatoia per uscire dal fango della tua esistenza. Non torni indietro e ti brucia dentro che il tuo miglior amico ci sia riuscito ad andare avanti. Zeno frequenta il liceo, scenda dall’autobus nei quartieri ricchi e studia tutto il giorno. Lo ha tradito.
Adele e Dora, due donne di età diverse, con una vita diversa eppure tanto vicine. Adele giovane così tanto che quel bambino in pancia non lo vuole, Dora pagherebbe con la vita pur di diventare madre. Adele innamorata della persona sbagliata, come Dora. Zeno in mezzo, amato dalla sua insegnante e innamorato di una ragazza incinta.
Un intreccio che neanche loro immaginano di avere, che si snoda laggiù nei Lombriconi. Palazzi popolari dove i muri sono pieni di scritte, i citofoni sono rotti, i ragazzi passano tutto il loro tempo in strada. Dalle finestre si sentono urla di mogli deluse, botte di padri violenti. Mille realtà dure da raccontare, da portare addosso.
Il corso della vita prosegue inesorabile. Per qualcuno un figlio è la forza di mettere un punto, di voltare le spalle ai propri sogni, per mettere in cantiere quelli di chi ancora deve nascere. Adele un punto prova a metterlo. Per qualcuno un figlio non suo è una pagina da voltare senza leggere e Zeno prova a voltarla. Per altri un figlio è speranza, è un nuovo inizio, una rinascita e Dora non vede l’ora.
Una storia dura, inesorabile. Una Bologna con le sue invisibili frontiere che separano la città dei protagonisti da quella degli emarginati. Una storia di donne ma anche di uomini, emozioni messe sullo stesso piano. Ognuno con i suoi dolori, cambia solo il filtro con cui vengono alla luce. Zeno, Manuel, Fabio cercano di cambiare il loro destino. Zeno con i libri, lo studio, dove riesce a scorgere la fine del tunnel della miseria
“…trenta pagine a testa. Di mattina e di pomeriggio. Sui tetti, negli scantinati, sui marciapiedi. Tra un furto di alcolici, una partita a pallone e un copertone a cui dare fuoco. Leggevano ad alta voce. E non c’erano più padri assenti né madri stanche né figli troppo unici e troppo soli”
Manuel prende la strada più semplice e l’abitudine purtroppo diventa più forte di qualsiasi amor proprio. Fabio vive del suo passato, si attacca ai ricordi, alla spensieratezza degli anni verdi ma riviverli a quarant’anni hanno tutt’altro sapore.
Poi ci sono Dora, Adele, Rosaria, Jessica. Tutte accomunate da un vuoto, dentro la pancia ed il cuore. Donne che si sgretolano, piangono, violentate da un futuro che sembra senza pietà ma che alla fine vanno avanti, con la testa piegata e le spalle curve sotto il peso del dolore ma non si fermano.
Una lettura dal ritmo velocissimo, frasi corte, lapidarie. Schiaffi emozionali che ti colpiscono in pieno volto. Per tutto il corso della storia sembra di sprofondare sempre di più nel fallimento ed un senso cupo di oppressione ci ha accompagnate fino alla fine.
L’autrice però è stata abilissima non solo nel concludere in maniera assolutamente imprevedibile il romanzo ma anche nello svelare gli intrecci dei personaggi poco per volta, a piccole dosi.
Avevamo già letto Acciaio e Marina Bellezza. Entrambi apprezzati. Si ritrova qui lo stile dell’Avallone che riesce ad entrare in posti scomodi e miseri aprendoci gli occhi su realtà che non sono così tanto lontane da noi.
Bello tutto questo libro, nella trama, nella prosa, nelle riflessioni e nella morale che trasuda alla fine.
Consigliato agli amanti della bella narrativa italiana, a chi cerca storie che parlano della nostra realtà e del nostro sociale. Adatto ai giovani perché se per tutto il romanzo sembrano i più arrendevoli e disperati, vengono poi riscattati come la forza che cambia il futuro.