Concerto per orchestra stonata – Emiliano Moccia

Concerto per orchestra stonata

Autore: Emiliano Moccia

Editore: Fogliodivia

 

Dal Conservatorio di Foggia le note dell’Eroica di Chopin si diffondono nell’aria e arrivano, toccano, avvolgono Emanuele che sogna da sempre di diventare direttore d’orchestra. Da piccolo abitava vicino al Conservatorio,

“…le chitarre, i violini, le arpe, i tenori, i soprani. Gli esercizi musicali degli allievi scandivano le sue giornate”

Il destino però gli ha voluto tendere la mano sbagliata e lui purtroppo l’ha presa. Adesso non sente più la musica. Non la vede brillare anzi…le note le scansa.

Si porta addosso i suoi crimini da tempo, il ricordo delle sue giornate in prigione. A soli 33 anni è difficile. La strada è diventata la sua casa. E proprio nella strada, tra quei volti sporchi e disperati, Emanuele incontra Alessandro.

Lo chiamano “il professore” , muove le dita davanti un pianoforte immaginario. Dice due parole, poi canta, rispolvera le opere più disparate.

C’è del vero dietro questo buffo signore. In un passato non lontano

“suonava, insegnava, componeva”

La musica però gli era entrata troppo sotto la pelle e si era impossessata di lui, dei suoi pensieri, delle sue emozioni. Così un giorno, qualche nota stonata di uno studente ha ferito a tal punti il suo orecchio e la sua anima da non essere più padrone delle proprie azioni. Espulso dalla scuola, Alessandro perde tutto, un po’ anche la ragione. Confonde i concerti ascoltati a quelli insegnati, i grandi compositori con quelli in erba  e si crea una realtà tutta sua che allieta le giornate vuote di chi come lui ha fatto della strada la sua casa.

Durante una delle tante file alla Caritas per un pasto caldo, Emanuele racconta ad Alessandro un sogno ricorrente: il grande compositore Umberto Giordano scrive sulla lavagna delle note inedite, mai suonate. Il sogno finisce ma la notte dopo si ripete uguale a quella prima e così via.

 

Il professore scrive su un pezzetto di giornale le note del sogno e poi le canticchia,

” un suono che parte lento, per poi diventare arioso, struggente, malinconico ed infine vibrante”

Non è solo musica questa, è la chiave per uscire dalla polvere, dall’invisibilità, dall’inedia che la strada ti cuce addosso.

A Bari si terrà una gara per piccole orchestre, in premio tanti soldi. Perché non tentare? Alessandro è entusiasta, già pronto a mettersi all’opera. Ha già in mente chi farà parte del gruppo di musicisti, della sua piccola orchestra stonata. Emanuele sarà il direttore, lui suonerà il piano. E poi?

 

Tra i volti vulnerabili che si aggirano tra i vicoli ce n’è uno che ogni tanto afferra qualcosa con le mani e se lo mette in tasca. Libero cammina in punta di piedi su una fune immaginaria che lo salverà dagli alligatori e non sa che presto la sua tuba ricomincerà a suonare.

Clelia ha trentanni anni, da cinque in strada. Prima inseguiva un sogno fasullo, ora deve saldare un debito.

“il lavoro è solo una volgare parentesi tra le ore brutali che scandiscono i tempi delle sue giornate”

Sotto quei tacchi vertiginosi e la gonna corta c’è il sogno di una ragazza che fino a pochi giorni prima prendeva lezioni di musica al violoncello e che ora lo suonerà per l’orchestra stonata, anche se ancora non lo sa.

Marian è rumeno, è venuto in Italia per lavorare e portarsi poi i soldi a casa dove moglie e figli lo aspettano. Ma un mese è diventato un anno, poi quindici. Si è trovato stretto in una rete da cui non riesce ad uscire, sfruttato e sottopagato. Del suo passato gli è rimasta solo una cosa, il suo violino che presto tornerà a suonare.

Emanuele, Clelia, Libero e Marian

“quel gruppo di umanità piegata dalla vita e dalle circostanze”

Alessandro li ha recuperati dalla strada, sottratti a loro stessi, convinti a mettersi in gioco.

Qualcuno va via, qualcuno resta e qualcun’altro si aggiunge. I giorni passano, le note vengono fuori armoniose, pulite. Emanuele riflette, mantiene una promessa fatta al professore e sente tutto il peso dei suoi errori sulle spalle. E’ troppo da sopportare, vuole essere diverso, vuole perdonarsi.

Finalmente arriva il giorno dell’esibizione, l’orchestra stonata è pronta a suonare “il volo del professore”, pezzo inedito di U.Giordano.

“dagli strumenti si stacca la musica, si muove piano, discreta. Agguanta tutto quello che incontra. E’ come un nastro adesivo, stringe, appiccica”

Ognuno suona prima di tutto per se stesso, e accarezzato dalle note, con se stesso fa pace.

Un libro veramente bello, emozionante e commovente. Emanuele Moccia è un giornalista impegnato nel sociale che fa del volontariato presso un’associazione che cura migranti e poveri. Foglio di via è nato come un giornale di strada, che parla di chi ci vive, dedicato a “chi non è mai uscito dalla polvere o a chi c’è finito da poco”.

I protagonisti sono i frammenti e gli stralci di una vita reale che i volontari raccolgono lungo il cammino dell’assistenza ai senza fissa dimora.

Il racconto è scorrevole, piacevole, toccante. Lo stile è lapidario, diretto; frasi scritte come stilettate che ti feriscono l’anima. La storia ti entra sotto la pelle, ti scorre davanti agli occhi. La trama non è banale, riserba dei piccoli colpi di scena da mozzare il fiato e non è scontata come si può pensare avvicinandosi alla fine.

Complimenti all’Editore, allo scrittore, per essere stati capaci di creare una bella storia e dare voce a quella parte di persone che sono al margine del suono, della vista.

Chi è un migrante? Un uomo nato qualche metro più in là di noi,

“in qualche paese scorticato dalla morte e dalla povertà, in qualche nucleo familiare incapace di resistere agli schiaffi della vita e alle bombe che piovono a grappoli”.

Chiudi il libro e ti rimane in testa se non sia un diritto di tutti la felicità, l’amore, il lavoro, la casa. La giustizia sociale, così si chiama, è realizzabile se si smettesse di mantenere le distanze da ciò che ci fa paura.

Super consigliato

 

 

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