Titolo: Che tu sia per me il coltello
Autore: David Grossman. Uno dei più grandi narratori contemporanei, attivo e sensibile nella questione palestinese che lo coinvolge in quanto nato a Gerusalemme. Ha scritto diverse opere, questa è tra le più conosciute
Editore: Mondadori
Genere: romanzo epistolare
Pagine: 330
Prezzo: eur 10.80 su IBS in brossura
- Copertina: 3♥ su 5 (non amiamo i volti reali in copertina)
- Storia: 4♥ su 5
- Stile: 4 su 5
“Niente corpo né carne. Non con te…Solo parole. Perché tutto si rovinerebbe a tu per tu, scivolerebbe subito su strade note, già percorse”
Questo è un viaggio immaginario con una compagna reale di nome Myiam che diventa lettrice inconsapevole di tutta una vita.
Una donna a cui viene gettata una corda chiedendole di reggerne l’altra estremità.
Una corda di parole, di immagini, di sogni dove tutto può accadere, tutto si può realizzare.
Giorno dopo giorno le lettere di Yaris scandagliano l’esistenza umana e si rivolgono proprio a lei, una donna che ha visto di sfuggita ma con cui ha sentito subito un legame fortissimo
“Scrivi,racconta, ogni giorno sprecato è un delitto”
Lo fa perché ognuno di noi almeno una volta nella vita può sentire l’anima lacerarsi, catturata nella storia di qualcuno che ci è appena passato accanto. Nella maggior parte dei casi però quella storia viene sradicata e muore subito, non si trasforma in un seme da far crescere.
Senza una trama precisa, senza una sequenza lineare di fatti, la prima parte del romanzo si compone delle sole lettere di quest’uomo.
Scritti in cui immagina un passato che non ha mai avuto, ricorda il suo essere bambino, confessa le sue paure, i suoi sentimenti e lascia qualche traccia del presente ma sempre molto vaga e indistinta.
Dalle parole comprendiamo che Myriam gli risponde.
Questo scambio epistolare, che dura diversi mesi, crea una relazione molto intensa ed intima. La carta permette di mettersi a nudo e spogliarsi delle apparenze per dare all’altro un’immagine di sé vera.
Nell’ultima parte del libro sono raccolte alcune pagine del diario di Myriam che tiene proprio nel corso di questa relazione. Attraverso i suoi scritti i personaggi si concretizzano e soprattutto si scoprono alcuni aspetti che prima erano soltanto accennati.
L’epilogo, raccolto in un dialogo tra pensieri e realtà, non aggiunge nulla alla storia se non il surrealismo di un rapporto platonico che è arrivato a un punto di svolta.
Nonostante le parole siano considerate alla stregua di un grumo di lettere inutili, si avverte un bisogno impellente di metterle nero su bianco.
Ma ci vuole un’anima dai muscoli forti per farlo con costanza e abnegazione, con sincerità e senza pudore.
Sin dalla prima pagina il romanzo si presenta in maniera molto originale . Sono lettere, a senso unico, verso un unico destinatario . A scriverle è un giovane uomo che un giorno ha visto una donna è da subito ha sentito dentro l’urgente bisogno di aprirle il cuore.
Lettere come un crescendo di confessioni, di ricordi, sogni. Si parla del passato evocandone un momento particolare, di dolore o felicità . Ma si parla anche di un passato speciale, che coinvolge la donna destinataria di queste missive. Un passato che non c’è stato , parentesi di vita perfetta. Un passato immaginato così come sarebbe stato desiderato.
All’inizio abbiamo fatto fatica ad entrare in sintonia con il romanzo. Le lettere del protagonista si muovono in una sorta di flusso di coscienza che non è così facile seguire. Risulta molto difficile costruire sia l’ambientazione che gli stessi personaggi. Le informazioni sono sparse, mescolate a sogni e riflessioni.
Arrivate circa a metà siamo riuscite a farci un’idea più concreta.
Yair è un uomo molto sensibile, combattuto da grandi contrasti, schivo e chiuso. Myriam è una donna che convive con un grande dolore (che il lettore apprenderà soltanto alla fine) e per questo si sente sempre spezzata, in cerca di un sentimento che possa salvarla.
Il loro rapporto viene completamente circoscritto dalle parole . Incontrarsi, costringere il loro legame ai binari che la società impone, metterebbe fine a tutta quella poesia e quel disincanto che invece ha visto nascere il loro affetto.
La Gerusalemme in cui viene ambientata questa storia è una città distante e fredda. Rimane sullo sfondo, in penombra.
Il titolo così particolare del libro fa riferimento a Kafka, un dettaglio che scoprirete leggendolo.
Una frase simbolica che ha a che fare con la profondità con la quale un’arma possa penetrare nel nostro corpo.
È un romanzo infatti molto intimo, in cui a parlare è sempre il cuore. Al lettore si chiede la pazienza di mettere in ordine ciò che legge, si chiede la capacità di far sedimentare alcune lettere per poi scoprirne la potenza.
Non è una lettura semplice, non è leggera. È un testo che va filtrato, capito. Al disorientamento iniziale subentrerà poi la voglia di andare avanti.
È un romanzo che lascia aperti molti spiragli e anche molte domande.
L’epilogo non aiuta ma anzi conferma ancora di più la particolarità non solo della costruzione narrativa ma anche della trama che rimane costantemente in bilico tra possibile e impossibile.
Non è una lettura per tutti ma se avete voglia di un libro più impegnativo e particolare sicuramente questo risponde ad entrambe le richieste.