Bartleby lo scrivano di Herman Melville

Titolo: Bartleby lo scrivano

Autore: Herman Melville, scrittore conosciuto principalmente per l’opera Moby Dick

Taduzione: Gianni Celati

Editore: Feltrinelli – 2019

Pagine: 48. C’è una lunga prefazione ed un’interessante postfazione al testo, per questo il libro risulta alla vista più voluminoso

Prezzo: eur 8.50

  • Copertina: ♥♥♥♥♥/5 Splendida
  • Stile: ♥♥♥♥♥/5 Singolare
  • Storia:♥♥♥♥♥/5 Illuminante

 

In un piccolo studio legale situato nel quartiere di Manhattan, centro da sempre della grande finanza, lavorano un avvocato e i suoi due copisti.

L’avvocato è un uomo esperto nel suo mestiere da quello che il lettore coglie dalle prime pagine, facoltoso e ben educato, figura pacata e datore di lavoro imparziale.

Proprio lui è la voce narrante del racconto. Senza esimersi dall’uso di un linguaggio che probabilmente gli è proprio nel suo lavoro, pregno di termini accurati e di una poetica classicheggiante, il legale vuole metterci a conoscenza di una singolare esperienza che gli è capitata in occasione dell’assunzione di un nuovo copista.

“…quella figura, scialba nella sua dignità, pietosa nella sua rispettabilità, incurabilmente perduta”

Bartleby è un uomo dall’aspetto insignificante, un volto pallido, vestiti semplici e ordinati. Il suo atteggiamento è laconico, remissivo e riservato. Siede silenzioso dietro un paravento, proprio vicino alla stanza dell’avvocato, e se non sta copiando qualche documento, il suo sguardo è rivolto fuori dove non c’è nessuna vista da ammirare se non un muro.

Nulla di speciale sin qui se non fosse che qualsiasi attività eluda la copiatura viene sempre da lui rifiutata con una frase che, ripetuta ad ogni risposta, assume il suono di una cantilena: “Avrei preferenza di no”.

Questa risposta non è tutt’affatto negativa poiché non vi è un vero e proprio rifiuto bensì una garbata maniera di declinare la proposta. Inoltre l’atteggiamento che assume Bartleby nel pronunciarla è mite ed inespressivo, non c’è saccenteria, non c’è pigrizia né furberia. Tutto nel modo di parlare e muoversi dello scrivano fa proprio pensare che non si nasconda nulla dietro la sua preferenza.

Scatta una trappola narrativa che Melville gioca al lettore poiché è naturale che qualsiasi curiosità,anche la più blanda, venga stuzzicata da un atteggiamento del genere.E così lo stesso avvocato studia ed escogita modi e tentativi per proporre all’impiegato varie commissione cercando di pungolarne la sua professionalità o l’equità nella distribuzione del lavoro.

Nulla esaspera le persone di serio intelletto, quanto una passiva resistenza. Ove l’individuo cui viene fatta resistenza sia d’indole non disumana, e se colui che resiste è persona perfettamente innocua nella sua passività, allora, quando il primo sia di buon umore, caritatevolmente egli tenterà di giustificare ciò che risulta d’impossibile soluzione per il suo intelletto”

Lo stupore tanto della voce narrante quanto del lettore risiede proprio nel fatto che l’atteggiamento di Bartleby non porta a nessun dialogo, non sprona al confronto né alla discussione anzi, la dialettica dell’avvocato ne esce quasi in difficoltà, in difetto per l’insistenza.

La situazione arriva ben presto ai limiti del tollerabile quando il legale, dopo una blanda ispezione del suo ufficio, capisce che Bartleby lo frequenta anche durante la chiusura e con l’interruzione da parte di quest’ultimo dell’unico compito che svolgeva.

In un susseguirsi veloce di avvenimenti, lo scrivano lascia lo studio legale ma l’avvocato non lascia lui. Nonostante quanto accaduto, egli si sente spinto ad aiutarlo seppur comprende di avere davanti un uomo che non desidera una mano.

Un finale inaspettato e spiazzante chiude queste pochissime pagine che però sono dense di significato. Quello che stupisce è proprio la moltitudine di riflessioni che una vicenda iniziata comicamente possa generare in una manciata di fogli.

Melville in questo racconto breve ha sapientemente usato l’ironia (che tanto richiama “Il cappotto” di Gogol) per disegnare una fetta ben precisa della società mettendola in ridicolo e portandone alla luce gli estremismi.

Lo studio legale, nonostante sia situato in un punto nevralgico della sua area di competenza, appare un microcosmo chiuso e statico dove l’attività è di copiatura e trascrizione, dove c’è una scaletta ben impostata sulle cose da fare e i due copisti in carica eseguono pedissequamente i loro compiti senza nessun contributo personale. L’avvocato stesso, seppur richiami a sé grande esperienza, passa le giornate alla scrivania cercando di convincere il dipendente neoassunto a dirgli di sì.

Egli ragiona per assiomi, è convinto che ad una scelta sia legato un motivo e che ci sia anche il contrario ma solamente all’ultimo si rende conto che non tutti ragionano per assunti ma alcuni animi, insondabili, non procedono per categorie forse perché hanno già perso, non hanno nulla su cui costruire una dialettica.

Il povero avvocato è vittima delle sue elucubrazioni e diventerà più comico di colui che “aveva preferenza di no”

Un libro incredibile. Afferrato per puro caso, nato come lettura da fare in gruppo, ha lasciato stupefatti. Un crescendo di aspettative che verranno totalmente disattese e sostituite con un modo diverso di vedere le cose.

Data la brevità della storia non possiamo fornire più particolari. Un Melville inedito che abbandona i toni evocativi e filosofici di Moby Dick. La prosa è particolarmente ricercata, contribuendo a disegnare la figura della voce narrante come il classico avvocato di grido, sempre impeccabile, galantuomo nell’animo e molto competente. Proprio lui, così impettito e di tutto punto ci fa sorridere nella sua testardaggine.

Bellissimo e necessario in libreria. Se amate restare a bocca aperta, mettere da parte il libro e pensarci per giorni e giorni a seguire questo fa al caso vostro.

 

 

 

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